La Lega che litiga per la cultura. Sembra un paradosso, ma non è tutto. I sindaci leghisti – secondo paradosso – alzano gli scudi contro il governo, come se a Palazzo Chigi loro non ci fossero. Però solo oggi (meglio tardi che mai) si sono accorti che la sforbiciata indiscriminata al settore poteva passare per le loro città. Così, con un ministro – Sandro Bondi – dimezzato e che passa le notti a pensare se dimettersi o farsi dimettere, i teatri d’Italia si trovano in ginocchio.

A guidare la rivolta il sindaco di Verona, Flavio Tosi, un leghista che più verde non si può, alle prese con l’Arena, il tempio della sua città, che rischia di chiudere per bancarotta. Verrebbe da chiedergli dove erano i suoi del Carroccio quando a Palazzo Chigi si tagliava a destra e a manca nel settore cultura. Resta il fatto che il povero (si fa per dire) Tosi ha ragione: le stagioni della lirica sono a serio rischio. Il decretino milleproroghe farà quello che non sono riuscite a fare pestilenzie, guerre, dittature: chiudere il teatro, in particolare l’opera. I 258 milioni stanziati dal governo – anche se un regalino al cinema è stato fatto – per il Fondo unico per lo spettacolo non risolvono la crisi, anzi, la aggravano in maniera decisiva, perché i tagli sono indiscriminati, ripartiti in egual misura tra chi fa decine di miglia di abbonati e chi al massimo duecento. E adesso, se prima si parlava di allarme, lo spettro è la chiusura. Dall’Arena di Verona, appunto, il cui presidente della Fondazione lirica è Tosi stesso, al Duse di Bologna che ha calato il sipario pochi giorni fa, per passare dal Piccolo di Milano alla Scala, solo per citare i più importanti. A Roma ci sono 31 teatri che rischiano di essere cancellati causa mancanza di fondi, nel resto d’Italia la situazione è la medesima. Bancarotta.

Il caso Arena

In questo caso il problema non sono solo i tagli. La stagione della lirica nel 2010 ha chiuso con tre milioni in meno di incassi al botteghino rispetto all’anno precedente e 423.000 spettatori persi per strada, praticamente il minimo. Tosi, però, non ci pensa a fare mea culpa e punta il dito contro il governo: “Può accadere – dice – di dover chiudere il bilancio della Fondazione Arena in rosso, non per responsabilità gestionali, ma esclusivamente per la mancanza dei fondi statali. Da un lato mal comune mezzo gaudio, visto che questo ci accomuna a tutte le altre fondazioni liriche. Ma i casi sono due: o l’Italia, che è un Paese che vive anche di cultura e di lirica, fa i conti seriamente con questo dato, oppure qui si rischia di mandare a ramengo l’intero comparto. A gennaio ci troveremo con tutti i sindaci e i sovrintendenti interessati per andare a parlare con il ministro, perché nessuno può pensare di mandare a carte quarantotto la Fondazione Arena”. La risposta gliel’ha già data però il suo collega di partito, l’onorevole Alessandro Montagnoli, leghista, membro della Commissione Finanze della Camera. “Il no del governo al reintegro del Fondo Unico per lo Spettacolo? Purtroppo era prevedibile – premette – visto che tutti sapevano che all’interno del decreto milleproroghe le priorità erano due: il reintegro del 5 per mille, a favore del volontariato, e dare una mano al trasporto pubblico locale”. Nessuna speranza, dunque.

L’addio al Duse di Bologna

Se Verona ancora spera, Bologna ha già detto addio al teatro più antico della città, 400 anni di storia spazzati via da un Bondi qualsiasi. Il Duse non riaprirà nel 2011, il più antico della città, gestito dall’Eti fino alla sua soppressione, decisa a fine maggio dal Governo. Il 31 dicembre, infatti, scadrà il contratto di affitto del teatro pagato fino ad oggi dal ministero dei Beni Culturali. Vani i tentativi di salvataggio, guidati dall’assessore regionale alla Cultura Massimo Mezzetti e dal commissario di Bologna Anna Maria Cancellieri, più volte in missione a Roma negli ultimi mesi: il progetto di rilancio che avrebbe trasformato il Duse in parte attiva di un polo teatrale regionale non è andato in porto. Così, a pochi giorni dall’ultimo spettacolo (sul palco c’era Giorgio Comaschi e per l’occasione erano state organizzate anche visite guidate alla struttura), i dipendenti hanno voluto ricordare con un ultimo messaggio la scomparsa del teatro, ”un palcoscenico tra i più capienti e importanti d’Italia con i suoi 1.000 posti: da qui è passato e si è esibito tutto il meglio del teatro dagli anni ’50 al maggio scorso”.

Petruzzelli, l’incendio più grave

Il teatro di Bari è stato salvato – per quest’anno – dal sindaco Michele Emiliano, con uno sforzo immane. Ma è un’agonia comunque. “Non posso consentire che venga bruciato un’altra volta. Ci stiamo sforzando di dare a questo teatro molta energia, un’energia popolare, diffusa, non di elite – ha detto Emiliano – il teatro appartiene a tutti i baresi ed è questa la finalità che si erano prefissi i fratelli Petruzzelli all’inizio del secolo quando vollero dare vita a qualcosa che fosse della città”.

Il Carlo Felice salvato dai lavoratori

Il teatro Carlo Felice di Genova ha chiuso e riaperto, ma solo grazie ai 286 dipendenti che si sono ridotti lo stipendio e le ore lavorative. Per due anni percepiranno l’80 per cento della retribuzione per potranno lavorare fino a un massimo del 60 % del loro orario contrattuale.

Le difficoltà della Scala e del Piccolo

Per la Scala, parole del vicepresidente Bruno Ermolli, il buco, dopo i tagli, salirebbe a 17 milioni di euro. Un 2011 che non si preannuncia per nulla sereno. “Sarà difficile col prossimo anno svolgere il lavoro”, dice Ermolli. Insomma, non un annuncio di chiusura, ma poco ci manca. Più duro il direttore del Piccolo, Sergio Escobar. “C’ è il rischio di un altro crollo. Forse, meno fragoroso di quello di Pompei, ma altrettanto doloroso per la cultura italiana: il taglio del Fondo unico per lo spettacolo nella parte che riguarda i teatri. Il frastuono del crollo di Pompei – attacca Escobar che è anche il presidente di Platea, l’ associazione dei teatri stabili – ha rotto il silenzio sulla mancata responsabilità d’ investire e di gestire le risorse per la cultura. Voglio richiamare alla responsabilità le forze politiche su un altro crollo che rischia di sfigurare in modo irreversibile il nostro Paese: quello di tutte le attività dello spettacolo dal vivo”.

Fenice, protesta a Capodanno

Il 2011 si è aperto, al Gran Teatro La Fenice di Venezia, con un concerto per 150 anni dell’unità d’Italia, ma anche con la preoccupazione dei tagli al Fondo unico. In sala è stato letto, in più lingue, un comunicato diramato dalla Fondazione che lancia un grido d’allarme. Un taglio del 50 per cento che, come ha ricordato il Soprintendente della Fenice, Cristiano Chiarot, non trova paragoni rispetto ad altri decurtamenti effettuati dal governo. Il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, nel salutare le maestranze della Fenice prima dell’inizio del concerto, si è impegnato a portare sostegno, a tutti i livelli, all’attività del teatro.

di Emiliano Liuzzi

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