Adoro il primo dell’anno. I creditori non ti chiamano, i rappresentanti non ti scocciano, i clienti non si incazzano, gli assegni non si protestano, le utenze non si staccano, il Parlamento e la Costituzione non si accapigliano, gli esattori non esigono, il fisco non confisca, gli ufficiali giudiziari non pignorano, le rate non scadono, le bollette non arrivano, le sveglie non suonano, gli arretrati non si accumulano, i direttori dei giornali non fanno a gara a chi la spara più grossa, La Russa e Gasparri mangiano il panettone e quindi non straparlano, perfino i lettori dei blog non commentano… Tutti si fanno i cazzi loro e di conseguenza le cose vanno bene.

Il primo dell’anno è anche il giorno dei discorsi. Il presidente della Repubblica fa il suo discorso. Il papa fa il suo discorso. Beppe Grillo fa il suo discorso. I discorsi si fanno a tutti oppure non si fanno. Si fa il discorso alla nazione, si fa il discorso alla cristianità, qualcuno sogna di fare il discorso al pianeta, ma nessuno fa il discorso al proprio vicino di casa, nessuno si alza in piedi, a tavola, e fa il discorso alla propria famiglia. Invece sarebbe bello. Bello e utile. Perché i discorsi fatti a chi ti conosce bene sono quelli più difficili, ma sono anche quelli più veri.

I have a dream, diceva il discorso più famoso della storia. Io invece ho un incubo, quindi dovrei forse dire: I have a nightmare!

Se chiudo gli occhi, faccio sogni terribili. Vedo immagini terrificanti: un paese senza lavoro, dove poche famiglie mangiano anche per tutte le altre; un paese senza futuro, dove le scatole di cartone legate con lo spago tornano lugubremente di moda; un paese senza dignità, ostaggio di una classe politica specchio dell’opportunismo, della volgarità e dell’analfabetismo morale di un popolo che crede di avere tanto ma che ormai non ha più niente. Vedo gente ignorante e disinteressata, priva di etica e disposta a tutto pur di raccattare qualche briciola in più. Vedo zombie, avatar alla moda occupare strade, spazi pubblici, posti di rilievo, istituzioni mentre i loro proprietari umani languono esanimi sul letto della resa intellettuale, della rinuncia ad ogni individualità, perdendo peso, avvizzendo in questa anoressia mentale nel tentativo estremo di assomigliare  al modello di consumatore standard, al perfetto cittadino mediocre, iperconnesso a un sistema cui devolve il totale controllo di se stesso. E non sembra esserci nessuna speranza.

Il sonno della ragione ha generato mostri orrendi, oceaniche diarree di liquami sottomarini; continenti di plastica che navigano sui mari come escrementi in una piscina abbandonata; guerre democratiche; organismi bifronti, ermafroditi dialettici proprietari di ogni forma di dissenso cui non resta che contraddire se stessi; abominevoli ibridi, frutto del peccaminoso innesto fra teste di agnello e zampe di capro, tra le immagini rassicuranti delle cose e l’inimmaginabile realtà in cui le cose esistono, celate dallo schermo della finzione rappresentativa.

Questo è il Day After, il giorno dopo l’estinzione dell’homo sapiens, il giorno successivo all’annientamento della cultura, alla fine di ogni principio, allo sgretolamento dei sistemi sociali evoluti, all’inversione dei poli della verità e del buon senso. Questa è un’estinzione di massa. Come dopo l’impatto con un meteorite, 65 milioni di anni fa, i grandi organismi vennero spazzati via e sopravvissero solo i mammiferi più minuti, così le grandi ideologie non hanno retto all’impatto con l’avvento dello show-business globale e resteranno solo piccoli miseri proponimenti e meschini obiettivi individuali.

Ricominceremo dalle caverne. Piccoli gruppi di sopravvissuti che conservano memoria delle vestigia, dei fasti culturali del passato. Adoratori di un vecchio libro che gli antichi dei chiamavano Costituzione, qualunque cosa volesse dire. Tribù di nomadi, custodi del sapere, pastori in cerca di pascoli, seminatori di terre aride e improduttive, alieni colonizzatori di pianeti adatti ad ospitare la vita. Ovunque andremo, lasceremo incisioni rupestri e manufatti simbolici in rappresentanza del senso universale delle cose. Costruiremo piramidi per celebrare il senso naturale del divino e le orienteremo lungo le costellazioni per rammentarci della nostra interconnessione con il cosmo, del quale siamo una diretta emanazione. Erigeremo templi, castelli e fortezze e li renderemo inespugnabili, affinchè possano difendere lo sconfinato patrimonio di contenuti multimediali, che un tempo il web seppe produrre, dall’attacco di forze oscure e oscurantiste, capeggiate dalle orde barbariche degli Alemanni, dei Vandali e degli Scilipoti.

Ricominceremo dall’inizio. Ei fu, dato il mortal sospiro. E fu sera e fu mattina. Gli ultimi uomini sulla Terra. I primi uomini di ciò che ne resterà quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato e i dinosauri della finanza, dell’industria, della politica e dell’informazione moriranno di inedia, sepolti dal crollo del superfluo che cesserà di essere sostenuto dall’essenziale, in un mondo dove ognuno tornerà a valere uno e gli umili e i modesti, che richiedono modeste quantità di risorse, diventeranno la nuova specie dominante.

Yes, I have a nightmare. Ma forse, se ognuno desse uno scrollone violento a chi gli sta accanto, potremmo ancora svegliarci.

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