Milleproroghe. Nomen omen.

Milleproroghe è un termine che è entrato di prepotenza nel linguaggio giornalistico-politico italiano. Indica un decreto-calderone che, a fine anno, il Governo approva per sistemare tutta una serie di questioni lasciate in sospeso.
Si dà per scontato che esista, questo milleproroghe – che, ogni tanto, viene accompagnato anche dalla dicitura millederoghe – come se facesse parte della normale vita politica italiana. Da sempre.

Il che, lo rende emblema del nostro Paese allo sbando, per almeno tre ragioni.

Primo. La necessità di prorogare. E ogni tanto di derogare, di condonare, di fare scudi fiscali e via dicendo.
Secondo. La scarsa memoria storica. Il milleproroghe esiste solamente dal 2005. E’ stato proposto in quell’anno, governo Berlusconi, per risolvere una serie di questioni urgenti. E poi replicato, con logica bipartisan. Evidentemente, ci si accorse che faceva comodo. Eppure, se ne parla come se fosse sempre esistito.
Terzo: il Parlamento commissariato. Il decreto Governativo da approvare velocemente nel periodo natalizio, prima che sia troppo tardi, è la prova – se ancora ce ne fosse bisogno – che il Parlamento è di fatto bloccato nei suoi lavori, da anni. E che tutta una serie di questioni sulle quali sarebbe opportuno legiferare nel corso dell’anno, devono essere risolte (o magari prorogate o derogate) con urgenza. In emergenza. Con un decretone di stampo governativo, che nasce senza dibattimento parlamentare e che poi deve essere convertito in legge.

E qui, accade la meraviglia. Perché sul Milleproroghe non si può mai essere certi, finché non è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. O addirittura, finché non è stato, finalmente, convertito in legge – cosa che accadrà entro febbraio dell’anno prossimo.
Così, capita, per esempio, che nel Milleproroghe non ci sia la sospensione delle tasse per gli aquilani promessa da Berlusconi – persino Vespa se n’è accorto, a Porta a porta, e ha ricordato a chi si occupa di queste cose di provvedere per non far fare brutta figura al premier -, o che si parli di cinema, spazzatura, buste di plastica, 5 per mille, fondo unico per lo spettacolo, editoria e chissà cos’altro.

Il Milleproroghe, la sua naturale accettazione, la sua sistematica applicazione – che replicano, di fatto, la logica dell’ordinanza, della deroga, del governare a colpi di decreti legge, ma anche dell’assuefazione a questo sistema antidemocratco – è l’ennesima conferma di una deriva italiana verso lo stato d’eccezione permanente.

Con il supporto della neolingua, ovviamente, che crea parole nuove e che fa arrivare a Natale, il milleproroghe. Come il panettone. E senza nemmeno Babbo Natale per farcelo digerire meglio. Segno che la neolingua e lo stato d’eccezione funzionano benissimo.

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