La tattica è sempre quella: raccontare palle e ribadirle, possibilmente in televisione, cavalcando gli istinti peggiori della popolazione. Così ha fatto il sindaco di Milano Letizia Moratti all’indomani della sentenza che conferma il diritto di 25 famiglie rom a entrare in affitto in altrettante case messe a disposizione dal Comune.

La verità, senza proclami, interviste o conferenze stampa, è quella che sta scritta nelle 16 pagine della sentenza emessa da Roberto Bichi, presidente della prima Sezione civile del Tribunale di Milano. La lettura è altamente istruttiva, fin dalle prime righe. Si apprende, per esempio, che tutto parte dal provvedimento con cui, nel luglio 2009, il Ministero dell’Interno (d’Italia, non dello stato comunista indiano del Kerala) aveva stanziato oltre 13 milioni di euro per il superamento, nel territorio di Milano, della cosiddetta “emergenza rom”, destinando 4 milioni di euro, in particolare, per l’inserimento abitativo e lavorativo delle famiglie rom e sinti.

Non è dato, a oggi, sapere com’è stata utilizzata, almeno in parte, quella considerevole cifra. L’unica certezza è che una fetta piccolissima, solo 20 mila euro, avrebbe dovuto essere destinata proprio alla ristrutturazione dei famosi 25 appartamenti. Questo, almeno, è quanto stabilito nella convenzione (maggio 2010) stipulata fra il prefetto di Milano (commissario per l’emergenza nomadi in Lombardia), il Comune di Milano e alcune Onlus, fra le quali la Casa della Carità di don Virginio Colmegna, che da anni si fa carico (lui sì) dell’emergenza-sgomberi (questa, emergenza autentica) di cui sono vittime periodicamente i rom.

Nessun diritto di veto o approvazione di tale provvedimento era stato previsto da parte dei non meglio precisati “cittadini” di cui ora si fa schermo la Moratti. Il Comune si era invece preoccupato di reperire i 25 alloggi chiedendo alla Regione di individuarli e di metterli a disposizione, fra quelli di edilizia residenziale pubblica, nell’ambito della quota per la quale il regolamento della Regione Lombardia prevede la possibilità di deroga. Cosa fatta dall’Aler, che ha messo a disposizione i più disastrati fra gli alloggi di cui disponeva.

Gli appartamenti non sarebbero stati destinati a caso e senza contropartite: le 25 famiglie scelte da Comune, prefetto e Onlus hanno sottoscritto, oltre a un regolare contratto d’affitto, anche l’impegno ad abbandonare il sito del campo di Triboniano, rinunciando all’autorizzazione alla permanenza nel campo, che, ricordiamo, è regolare, ancorché in condizioni incivili e, comunque, destinato a scomparire per far posto all’Expo. Com’è noto, le famiglie che dal 15 ottobre 2010 avrebbero dovuto trasferirsi negli appartamenti (la cui ristrutturazione era stata avviata a spese delle Onlus) non hanno mai potuto farlo. Perché il Comune ha cambiato idea. Violando la legge e il patto che aveva stretto con prefetto, Onlus e rom, dice la sentenza, accogliendo il ricorso presentato dalle famiglie rom sfrattate prima ancora di entrare nelle case che erano state loro assegnate.

Dice il sindaco che questa sentenza la “preoccupa”: “Mi auguro che non sia discriminatoria per i cittadini milanesi”. Ma discriminatoria, per il giudice, è stata invece proprio l’amministrazione comunale che ha contravvenuto sia all’articolo 2 della Costituzione, che riconosce anche agli stranieri i diritti fondamentali dell’uomo, sia all’articolo 3, che sancisce il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche di condizioni personali e sociali.

Dice ancora la Moratti che il Comune ha piena discrezionalità nello scegliere i cittadini ai quali assegnare la casa. Vero, ma la discrezionalità il Comune l’aveva appunto applicata nella famosa convenzione scegliendo le 25 famiglie (quelle precise famiglie, che evidentemente davano garanzie di integrarsi al meglio) alle quali destinare le case: mica può cambiare idea ogni giorno. E sostiene, infine, il sindaco che, in fondo, il problema non esiste perché “ci sono privati che ci hanno dato la disponibilità di case: la sentenza non ne ha tenuto conto”. Falso: all’udienza del 13 dicembre scorso le parti facevano presente che non era emersa nessuna diversa concreta soluzione al problema.

Questi sono i fatti. Ognuno decida poi da sé se vuole stare dalla parte della legge e della civiltà. O di quella di Letizia Moratti, che pur di farsi rieleggere cede ai diktat della Lega. Il capogruppo Matteo Salvini le ha già chiesto di portare a 20 anni il requisito minimo per avere una casa popolare a Milano, come da programma elettorale della Lega. Che farà Letizia?

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