Tutto è un problema di sicurezza e di ordine pubblico. I manifestanti de L’Aquila che chiedono un piano di ricostruzione, i lavoratori di Mirafiori che contestano l’assalto ai diritti da parte della Fiat, gli studenti che protestano contro il ddl Gelmini: eccoli i neo-attentatori della democrazia, i  moderni sovvertitori dell’ordine, i terroristi di nuovo conio. Unica reazione prevista dal governo: l’uso delle forze dell’ordine come braccio della repressione, la quale a sua volta diventa la sola risposta che la politica (incapace) riesca a mettere in campo. Nessuna ricetta per l’economia e per l’occupazione, nessun confronto con l’opposizione sociale (trasversale) che scende in piazza spinta da una crisi materiale drammatica. E mentre l’esecutivo barcolla, destinato a sciogliersi di fronte ad un inevitabile ritorno alle urne, ecco la strada per ottenere un po’ di ossigeno politico, per ricompattarsi, per ridarsi forza.

La ricetta è semplice: criminalizzare il dissenso delle piazze; offrire risposta repressiva ad ogni domanda sociale e politica ridotta a fattore di minaccia per l’ordine pubblico; infuocare il clima sociale paventando il pugno di ferro da parte dello Stato verso la protesta; imporre una legislazione d’emergenza restrittiva, che sospende lo stato di diritto per un permanente stato di eccezione, agitando l’argomento spot di un nuovo terrorismo, così da costringere al dissenso sociale (anche e possibilmente violento) e quindi giustificare la contro-risposta repressiva del governo.

E’ comodo, semplice, utile. E’ la strategia della tensione che porta il volto dei ministri Maroni, La Russa, Alfano; che si alimenta della provocazione dei Gasparri e dei Mantovano; che si legittima con la retorica ideologica dei Sacconi e dei Marchionne. Entro mercoledì, il Senato varerà il ddl Gelmini. Sul terreno della storia resteranno le macerie di una riforma disastrosa per l’istruzione pubblica, ma anche quelle di una democrazia svilita e in pericolo per una involuzione autoritaria imposta dal governo. Gli studenti sono scesi in piazza, esasperati per la chiusura all’ascolto dimostrata in questi mesi dalla maggioranza. Un movimento di protesta che ha coinvolto l’intero paese e che ha visto un’adesione massiccia da parte degli atenei e delle scuole. Il segnale che la coscienza critica giovanile non si è spenta, nonostante il bombardamento televisivo che impone il modello del comprare, dell’avere, dell’ostentare.

A Roma, il 14 dicembre, la violenza c’è stata, figlia non tanto e non solo del ddl Gelmini, ma della rabbia e dell’angoscia covate da tempo – troppo – nel cuore di una generazione che ha perso l’innocenza perdendo la speranza nel futuro, sotto i colpi della precarietà e della disoccupazione. Si deve avere il coraggio di dirlo senza essere tacciati di collusione con la violenza, come fa strumentalmente il centrodestra. La magistratura dovrà fare il suo corso per accertare le responsabilità, anche delle forze dell’ordine, in merito a quanto accaduto il 14 dicembre, ma la domanda che interroga la politica è ancora in piedi e preme con forza. E c’è la certezza che questa risposta non verrà mai, almeno da parte del governo, che si è limitato a condannare la violenza giovanile senza pensare alla violenza che esso non solo pratica, facendo mancare qualsiasi prospettiva futura ad una intera generazione di disillusi, ma addirittura manifesta orgogliosamente.

Le parole e l’atteggiamento dei vari La Russa, espressione di una destra fascista e con la bava alla bocca dimentica del suo passato, oppure la rissa in occasione del voto di fiducia in Parlamento: come pensa questo esecutivo di essere credibile col suo moralismo ipocrita e il suo falso pacifismo? Come può essere rispettato il suo appello alla tolleranza, quando approva leggi disumane e ingiuste verso i migranti? Come pensa di essere creduto quando i suoi ministri infangano la Costituzione, difendendo pubblicamente il ventennio e irridendo all’unità d’Italia? Insomma, di chi è figlia la violenza?

Dopo il 14 dicembre, abbiamo ascoltato esclusivamente dichiarazioni incentrate sul dispositivo sicurezza da attuare nelle prossime ore, quando gli studenti e gli universitari torneranno in piazza. I palazzi del potere blindati e Roma militarizzata per mezzo di un’ostentazione muscolare della forza, che avvelenerà il clima prima di ogni reale e possibile conflitto; il Daspo alle manifestazioni e gli arresti preventivi (che mettono in discussione l’art. 17 della Costituzione, che prevede la possibilità di vietare le riunioni per motivi di sicurezza ma mai in riferimento al singolo manifestante, e che negano il principio costituzionale secondo cui l’arresto è legato alla commissione del reato); le critiche ai magistrati (con tanto di ispezione da parte del ministro della Giustizia) perchè hanno proceduto alla scarcerazione dei primi arrestati (lesione dell’indipendenza della magistratura, del suo diritto alla discrezionalità, del suo dovere di tener conto del quadro indiziario specifico); la creazione di una contrapposizione artefatta fra forze dell’ordine (che arrestano) e magistratura (che scarcera), scaricando sulle prime la crisi sociale e usandole strumentalmente in modo ingiusto e illegittimo.

Siamo alla sospensione della democrazia, delle garanzie costituzionali, delle libertà. E’ un fascismo di ritorno, un terrorismo di Stato, un abuso di governo, che ha il volto del ministro fascista della Difesa, di quello razzista dell’Interno e, soprattutto, del monarca populista di Arcore. Dunque ora c’è da essere responsabili: non lasciamo soli e scoperti questi studenti e questi universitari, non abbandoniamo questo paese, non rinunciamo al nostro futuro.

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