Studenti medi e appena entrati all’università, i veri soggetti nuovi del movimento, sono radicali nei comportamenti e nell’espressione di piazza perché hanno afferrato la radice della questione: o si trasforma tutto, o la crisi la pagheremo noi. Insomma, a bruciare sulle barricate dei palazzi assediati è la fiducia non solo in questo o quel governo ma nella speranza, che – come Monicelli ci ha insegnato – è una trappola dei padroni.

Lo scrive Gigi Roggero, che, in un pezzo dal titolo Il fuoco della conoscenza, fotografa in maniera spietata e realistica una classe politica – ma anche giornalistica – impreparata e sorpresa di fronte agli eventi del 14 dicembre a Roma.

Una classe politica che sembra scendere dalla montagna del sapone, sconnessa dalla realtà, si accorge dei giovani solo quando questi escono dal seminato di bontà e buonismo e ignora quanto sia priva di prospettive, oggi, la vita per le generazioni dai trenta in giù.
Una classe politica sorpresa, come se la violenza di un giorno fosse esplosa immotivatamente da un momento all’altro, senza preavviso, in un Paese dov’è tutto perfetto. E così, molti a rincorrersi nel predicare la condanna all’atto violento. Pochi a chiedersi quale violenza a monte abbia generato, negli anni, esasperazione e tensione sociale. Praticamente nessuno a fare una riflessione autocritica. Praticamente nessuno a chiedersi cosa significhi, se la piazza si incattivisce; se chi si incattivisce trova consensi anche in chi non commetterebbe mai atti violenti. Sarà solo colpa della piazza? O potrebbero esserci responsabilità altre, politiche? Da dove nasce, questa violenza? Cosa si può fare per fermarla, oltre che reprimere?

Politica deriva da “polis”, che in greco significa città, comunità dei cittadini. La risposta della politica – che dovrebbe occuparsi del bene collettivo – a un dissenso pacifico è stata la chiusura al dialogo. Quella al dissenso violento, la condanna acritica e decontestualizzata dalla situazione storico-sociale in cui si trova l’Italia oggi. E’ una risposta fatta di parole obsolete e di strategie fatiscenti, per nulla affine a quel che, giustamente, auspica Travaglio quando dice che occorrono parole nuove e luoghi non comuni per comunicare.

La risposta della politica nostrana al dissenso è la zona rossa. Magari, la tessera del manifestante, a pareggiare i conti con quella del tifoso: non sorprenderebbe, visto che la politica si è ridotta a tifo e calciomercato.

Ignorare invece di comprendere. Difendere la contingenza e lo status quo invece di distendere e pianificare il futuro. Militarizzare invece di dialogare.
E’ una risposta vecchia e impreparata, esasperante, che potrebbe avere conseguenze sociali pesanti.
E quando le conseguenze sociali arriveranno, la classe politica potrà di nuovo osservarle sorpresa, chiedersi come sia stato possibile, continuare a non capire, condannare e lavarsene le mani.

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