Il 14 dicembre il governo Berlusconi ha ottenuto una risicata vittoria politica.

Il 14 dicembre una parte della società è insorta.

E’ la manifestazione dell’insofferenza precaria, una condizione che sempre più oggi è diventata paradigmatica dei rapporti di lavoro: esistenziale, strutturale, generalizzata. Non può stupire ciò che è avvenuto a Roma e in altre città d’Italia. Sapevamo che prima o poi sarebbe successo. E non poteva essere altrimenti. Che cosa hanno fatto la politica e il sindacato per contrastare la diffusione della precarietà? Se va bene, nulla, se va male l’hanno incrementata.

In ordine di tempo, non si può fare a meno di citare il Collegato Lavoro 1167 che, da un lato, getta un colpo di spugna sugli abusi della precarietà a vantaggio delle imprese precarizzatrici, dall’altro introduce clausole capestro che impediscono di fatto alle precarie e ai precari di far valere i propri diritti. Ma è solo l’ultima nefandezza. L’hanno preceduta tutta una serie di disposizioni di deregulation del mercato del lavoro tese a rendere sempre più individualizzato il rapporto di lavoro, spesso con la complicità dei sindacati confederali (vedi ad esempio il contratto Atesia o il nuovo accordo sulla contrattazione collettiva, salvo poi denunciare oggi, come fa la Cgil, quella condizione precaria che lei stessa ha aiutato a diffondersi).

Ricordiamo che tutto ciò avviene in un contesto in cui gli ammortizzatori sociali sono parziali, iniqui e lasciano nella più completa disperazione chi non ha potuto essere licenziato con una lettera, ma semplicemente con un pacca sulla spalla. Della serie: “Mi dispiace, ma il suo contratto di lavoro non è rinnovato”. Ciò che è è successo a Roma non è frutto di infiltrazioni poliziesche o di fantomatici black bloc: ciò che abbiamo visto nasce dalla rabbia vera di chi sa di non avere più futuro.

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