Areva, l’azienda francese che con EDF fa da partner ai progetti nucleari del governo italiano, sembra essere riuscita ad esportare in India il suo prodotto di punta, il reattore EPR (European Pressurized Water Reactor). Lo stesso modello scelto da Roma per far tornare l’Italia all’energia prodotta dall’atomo.

L’affare da oltre 15 miliardi di euro permetterà ai francesi di costruire due esemplari da 1650 MW e di fornire il combustibile ai gestori indiani per 25 anni. L’EPR viene descritto come il reattore nucleare più efficiente, sofisticato e sicuro mai inventato finora, addirittura in grado di resistere all’impatto con un aeroplano. Ma saprà sopportare anche la forza d’urto di un terremoto? E’ quello che si stanno chiedendo le popolazioni che vivono dove dovrà sorgere la centrale. Lo Stato di Maharashtra, nella costa occidentale del Paese, è infatti una zona altamente sismica.

Greenpeace sta cercando di informare l’opinione pubblica francese sull’impatto che le scelte (e i soldi) di Parigi possono avere sulle zone in cui Areva sta facendo affari miliardari (si parla qui di 9 miliardi di euro per le centrali e 6 per il trasporto dei reattori). Nella regione di Jaitapur, come riportato sul sito francese dell’organizzazione ambientalista, solo negli ultimi 20 anni, si sono verificate numerose scosse. La più violenta, registrata nel 1967 a un centinaio di chilometri dalla zona su cui dovrà sorgere la centrale nucleare, ha avuto una magnitudo del 6,5 della scala Richter. Anche tra il 1990 ed il 2000 si è verificato un sisma di magnitudo superiore a 6, più altri due superiori a 5.

In India, la zona di Jaitapur è considerata a rischio 4 su una scala da 0 a 5, e non sono da escludere terremoti fino al grado 7 della scala Richter (Guarda la carta delle zone sismiche indiane) Una magnitudo, sempre secondo Greenpeace, alla quale nessuna centrale nucleare è stata finora sottoposta.

Oltre al rischio concreto di incidenti, un problema fondamentale riguarda il fatto che gran parte dell’opinione pubblica indiana è fortemente contraria a questo progetto. Nel subcontinente indiano, la lotta al nucleare significa in molti casi combattere per la propria sopravvivenza. Sono infatti oltre 10.000 i contadini e i pescatori che, nel momento in cui sorgerà la centrale, vedono minacciata la loro attività. Persone il cui sostentamento dipende dalla terra, dall’acqua e più in generale da quegli ecosistemi che sarebbero seriamente danneggiati dall’attività nucleare. Cittadini che si sono uniti nella difesa dei loro diritti e hanno manifestato contro la requisizione forzata delle loro terre (le compensazioni finanziarie proposte erano inferiori al valore di mercato delle terre). Le proteste sono state represse dalle autorità e tremila persone si sono fatte imprigionare volontariamente.

Dopo i fiaschi collezionati in mezzo mondo (dagli Emirati Arabi, alla Corea del Sud, fino alla stessa Francia si è optato per reattori più economici di quelli di Areva), l’accordo indiano è una vera e propria boccata d’ossigeno. Alla firma del contratto, lo scorso sei dicembre, oltre a Shreyans Kumar Jain, presidente della Nuclear Power Corporation of India (NPCIL), e Anne Lauvergeon, amministratore delegato di Areva, erano presenti anche il presidente francese Sarkozy e quello indiano Singh.

“Desidero esprimere i miei sinceri ringraziamenti alle autorità indiane e alla NPCIL per aver dimostrato la loro fiducia nella nostra tecnologia”, ha detto Lauvergeon.

La compagnia francese assicura che il suo prodotto rappresenta per l’India un salto di qualità: il Paese ha già 20 reattori in attività, ma la loro capacità nucleare è di 4780 MW, quasi quella di 3 reattori EPR. I piani del governo però puntano ad arrivare a 7280 MW nel 2012, 10.080 MW nel 2017, 20.000 MW entro il 2020 e 63.000 MW entro il 2032. Piani ambiziosi, che sembrano però trascurare due particolari importanti: l’opposizione delle popolazioni e il rischio sismico.

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