Sbagliato disperare: in misura crescente tangibili segnali di vitalità combattiva stanno arrivando dal cuore dell’Europa e anche dalla nostra povera Italia. A darli sono le categorie storicamente più impegnate a saldare le proprie rivendicazioni con la critica dei rapporti sociali di dominio: gli studenti e i lavoratori dipendenti. Cui va aggiungendosi il cosiddetto “proletariato della conoscenza”, i ricercatori.

Davanti a questa vasta e diffusa mobilitazione non ha senso continuare a ripeterci che la politica è morta. Un messaggio disperante quanto sbagliato, tra l’altro smentito per l’ennesima volta – ad esempio – dalla mobilitazione romana indetta sabato scorso dal Partito Democratico. E qui non ci commuovono la faccia compunta del Pierluigi Bersani descamisado o il birignao da istituto Marcelline di Massimo D’Alema o – ancora – la pappagorgia tremula del Walter Veltroni l’africano. Quanto ci emoziona sono le migliaia di donne e uomini “concreti” che si attivano per testimoniare il loro bisogno di buona politica.

Insomma, tutto sembra indicare che sta finendo l’incantesimo malefico, durato almeno trent’anni, che aveva cancellato dalla scena mondiale il discorso pubblico; ridotto la democrazia nelle stesse condizioni di una “Bella Addormentata” dell’omonima favola. I movimenti ritornano ed è un ottimo segno, visto che l’ordine democratico rettamente inteso si basa sulla dinamica ininterrotta tra mobilitazione e istituzione, un po’ come la diastole e la sistole per il muscolo cardiaco.

Nel trentennio malefico di cui si diceva era stata l’abilità degli stregoni antidemocratici a bloccarne il movimento entro le mura di Palazzi inaccessibili. Mentre ora il risveglio si accompagna ai brontolii di una tempesta risanatrice, che spazzi via i tanti miasmi che si erano accumulati. A Parigi come a Londra (e non scandalizziamoci troppo per le uova e le lattine di vernice contro la berlina di uno svampito quale il principe Carlo: sono gli inconvenienti del mestiere); a Roma e Palermo come a Brescia, dove si è verificata un’importante saldatura all’insegna della solidarietà tra i cinque extracomunitari rintanati sulla gru e vasti strati della popolazione. Ci piacerebbe citare pure la Campania insorta contro la truffa dei rifiuti a montagne, che scompaiono e riappaiono come in un vaudeville alla Feydeau; purtroppo l’inquinamento ambientale sotto il Vesuvio (ci si riferisce al rapporto politica – malavita organizzata) ha raggiunto tali livelli che risulta difficile discernere tra spontaneità e manovre telecomandate.

Fatto sta che ancora una volta si stanno creando le condizioni per un’effettiva discontinuità, non lo stucchevole gioco “dei quattro cantoni” grazie al quale la classe politica sembra rinnovarsi restando intimamente se stessa; grazie a puri e semplici riposizionamenti tattici.

Semmai il problema è che questa irruzione dell’energia democratica non si riduca – come per il recente passato – a un lampo di magnesio: la durata poco più che istantanea di una qualche discesa in piazza. Quanto è avvenuto con L’Onda Anomala o “i Viola” del No-B-day. Appurato che da tempo assistiamo a una mattanza di questa energia democratica di base. Perché? A mio parere per due ragioni:

  1. La mancanza di sponde;
  2. La carenza di strumenti.

Infatti, nei sistemi politici europei la protesta incontra soggetti organizzati che fingono da riferimento; appunto, le offrono una sponda (punto “A”). Per dire, in Inghilterra oggi c’è il Labour Party di Ed Miliband, che è molto diverso da quello blairista; in Francia, messa da parte la starlet Ségolène Royal (quella che voleva battere Nicolas Sarkozy scimmiottando Sarkozy), c’è una Gauche che sta recuperando credibilità, rappresentatività. E in Italia? Ad oggi si direbbe che le sedicenti Quinte Colonne asserragliate nel Palazzo abbiano un solo disegno: mettere all’incasso le tensioni sociali per vantaggi di organigramma. E lasciare la Fiom al suo destino.

Punto “B”: a fronte di tutto ciò, da troppo tempo difettano cassette degli attrezzi culturali che forniscano ai movimenti gli strumenti aggiornati necessari per operare nell’arena politica con qualche prospettiva di successo. Se ammettiamo che tali non sono i reperti archeologici del ’68 o l’ipotetico revival di Carlo Marx.

Irretiti nel tempo immobile del “non ci sono alternative”, i “chierici” (ovvero il ceto intellettuale nostrano) hanno tradito ancora una volta. Tacciono colpevolmente o ci spiegano alla Michele Boldrin che “Marchionne ha ragione” a precarizzare, che “la distinzione tra Destra e Sinistra è una minchiata” (sic), che i mali dell’educazione si risolvono regalando alla Chiesa il “buono-scuola” che distrugge la pubblica scuola repubblicana.

Eppure, compressa e tradita, la voce di pezzi importanti del sociale ritorna a farsi sentire anche dalle nostre parti. Nonostante che – come nella vecchia poesia di Jacques Prévertquesto amore civile “noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato”. Può ancora salvarci.

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