di Guido Mula*

Secondo appuntamento con le parole chiave usate dal Ministro a sproposito: baroni. Anche in questo caso c’è un video disponibile nel sito della Rete29Aprile, che approfondisce questo tema.


Chi sono mai questi baroni di cui parla tanto il ministro Gelmini? I baroni, nell’accezione peggiorativa comune sono quei professori universitari che agiscono sfruttando la propria posizione di potere per trarne vantaggi, diretti o indiretti. I baroni sono sempre dei professori ordinari, ma non è sempre vero il contrario, dato che tantissimi professori ordinari non sono affatto dei baroni. Il ministro asserisce che finalmente, grazie al disegno di legge approdato adesso al Senato, si porrà un freno al potere di questi baroni. Sarà vero?

La prima cosa che viene in mente nella situazione attuale quando si parla di baroni è la progressiva concentrazione di potere nelle mani di pochi, dai concorsi (già in leggi precedenti) alla gestione delle università. Questa concentrazione di potere è aumentata significativamente da quando è entrato in carica questo governo, che ha eliminato i non ordinari (professori associati e ricercatori) dalle commissioni di concorso. Nel ddl nulla viene fatto per cambiare questo aspetto e molti dei poteri rimangono in mano ai soli professori ordinari esattamente come adesso. Per esempio sono ordinari il direttore di dipartimento e il presidente nelle facoltà istituite tra i nuovi dipartimenti per la gestione di corsi interdipartimento. Tutte le cariche di rilievo sarebbero sostanzialmente in mano agli ordinari, fatto salvo il fatto che negli statuti questa cosa possa essere in alcuni casi parzialmente ammorbidita.

C’è il non trascurabile aspetto del ricambio generazionale. Nel soffocamento delle università causato dall’impedire di fatto il turn-over negli anni scorsi e in quelli che verranno, quello che succede è che il numero di ordinari è destinato a diminuire fortemente nei prossimi anni in modo sostanzialmente incontrollato, causando inevitabilmente un ulteriore accentramento di potere nelle mani di un numero sempre più ristretto di persone, che si troveranno quindi di fatto tra le mani un potere molto elevato.

C’è infine il virtuale limite al mandato rettorale che però, esaurendosi nell’ambito del singolo ateneo, rischia di produrre la formazione di una sorta di “casta” dei rettori che si avvicenderanno tra le sedi in un processo favorito anche dalla spinta alla confederazione cui si assiste in molte regioni in risposta alla riduzione di risorse.

A fronte di tutto questo, nel disegno di legge la parola “responsabilità” appare diverse volte, ma mai nel contesto di dire che qualcuno ha responsabilità reali, ovvero che potrà avere delle conseguenze per un comportamento poco virtuoso come la scelta di persone non capaci o non produttive. Un esempio lampante viene dalla questione delle assunzioni. Si continua a discutere di commissioni, mai di responsabilità dei commissari. Se ai commissari basta riempire bene le carte per non avere conseguenze, a nulla valgono regole più o meno contorte per nominare i commissari stessi. Se ci fosse invece un sistema per il quale chi assume e chi è assunto possono avere entrambi conseguenze se la produzione della persone neo assunte non rispondesse in seguito a certi criteri, immediatamente si instaurerebbe un circolo virtuoso in base al quale chi non produce deve essere preso in carico affinché torni ad esserlo e chi sceglie sarebbe responsabile non solo della bontà della scelta fatta ma anche del suo rimanere tale negli anni. Non è scegliendo stranieri poi che il problema verrà risolto, anzi, dato che una commissione anche interamente di luminari illuminati non potrebbe garantire che poi la persona scelta sia messa nelle condizioni di operare correttamente proprio per la mancanza di responsabilità reali dei commissari. Dare tutto in mano ad un numero sempre più risicato di persone che rimangono comunque senza alcuna vera responsabilità nei momenti delle scelte è una politica dannosa che va chiaramente nella direzione opposta a quella di togliere potere ai baroni.

Su questo punto anche il problema della responsabilità in generale potrebbe essere affiancato a quello della responsabilità dei singoli. Come in quest’ultimo caso il concetto di responsabilità rimane nelle parole del ministro ma non nella legge, come l’assoluta mancanza di responsabilità, se non per atti illegali, ovviamente, del Cda, che non deve rendere conto a nessuno ed è un’oligarchia, anche se non solo di professori ordinari. Un’aberrazione se si tiene conto che perfino il rettore può essere sfiduciato mentre i componenti del Cda no.

*Rete29Aprile

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