Dalle Fiji a Barbados, passando per Mauritius e Seychelles. Nei paradisi tropicali di tutto il mondo le ambasciate europee e i loro dipendenti vivono nel lusso, con stipendi e bonus da capogiro e un orario di lavoro striminzito. Alla faccia dei contribuenti. A svelarlo è un’inchiesta del britannico Sunday Times.

E’ la diplomazia, bellezza. Targata Ue. “Mentre i governi degli stati membri tagliano la spesa pubblica e aumentano le tasse, gli euroburocrati sparsi per i cinque continenti conducono vite da nababbi”, scrive il domenicale del Times. L’European External Action Service (Eeas) è appena stato inaugurato in sordina e con poco clamore dalla ministra degli esteri europea, la baronessa Catherine Ashton. La britannica, ex sottosegretario laburista è il politico donna che guadagna di più al mondo, con un salario di 387.000 euro all’anno. Sotto la sua guida lavorano 7.000 persone in 136 Paesi e gestisce un budget totale di 7 miliardi di sterline. L’Eeas comprende 136 ambasciatori “con contratti molto generosi”, sottolinea il giornale. Guadagnano fino a 220.000 euro all’anno grazie ai vari benefit. Per esempio la diaria giornaliera, che dipende dal Paese in cui sono dislocati, un contributo per la casa, un bonus se nasce un figlio o si adotta, un altro per mandarlo a scuola. Auto blu con autista, personale al completo, dal cuoco al giardiniere, viaggi in prima classe per tutta la famiglia per tornare in patria, assicurazione sanitaria, contributo per l’acquisto di mobili e molto altro.

Almeno 130 di loro, evidenzia il Sunday Times, hanno un salario superiore a quello del premier britannico David Cameron (che percepisce 167.000 euro all’anno). Gli ambasciatori inoltre godono di un massimo di 15 settimane di ferie. E la loro giornata lavorativa in media termina alle 4 del pomeriggio. Soprattutto nelle località caraibiche e dell’oceano indiano. Dove il lavoro si mescola alla vacanza perenne.

Sull’isola di Mauritius, per esempio, vive Alessandro Mariani, dipendente della Commissione Europea dal 1994, con vari incarichi, soprattutto in Africa. Con la moglie e i due figli alloggia in una splendida villa vicino alle Goodlands, una delle location più costose dell’isola. Lo staff dell’ambasciata Ue è composto da18 europei e 19 impiegati locali. “L’isola è minuscola, misura 45 chilometri per 85 – spiega il domenicale – E tanto per fare un esempio l’ambasciata britannica impiega solo quatto persone”. La presenza degli europei è un mistero. Almeno per la gente e gli imprenditori del luogo, che non hanno ancora capito la funzione di una rappresentanza diplomatica permanente.

Alle Fiji, invece, la delegazione è composta da 35 persone. L’ambasciatore, l’olandese Wiepke Van Der Goot, vive in una tenuta in riva al mare. “Dal 2005 a oggi l’Europa ha speso 38 milioni di sterline in progetti per l’educazione e le infrastrutture”. A Barbados lo staff è di 45 persone. Il capo della delegazione, lo spagnolo Valeriano Diaz, guadagna 150.000 sterline l’anno. Ma la Ue ha voluto mettere il suo zampino burocratico anche nelle sperdute isole di Vanuatu, Solomon e Papua Nuova Guinea (7, 11 e 23, il rispettivo numero degli impiegati nello staff). “Perfino a Bruxelles, sede del Parlamento europeo, c’è un’ambasciata con venti dipendenti”, si stupisce il giornale inglese. “La giornata lavorativa di molte persone è in pratica una vacanza prolungata. E il conto lo pagano i contribuenti, i cittadini degli stati membri”, ha commentato l’europarlamentare tedesco Ingeborg Graessle, che si batte per la trasparenza degli organi europei.

Il budget dell’Eeas raggiungerà il prossimo anno i 470 milioni di euro e continuerà a crescere. “E’ ormai diventato un gigante burocratico ma rimane un nano in termini di diplomazia – critica Mats Persson, direttore della think-tank britannica Open Europe – In molti Paesi la presenza di un’ambasciata è inutile e dispendiosa, non fa che succhiare finanziamenti che potrebbero invece essere spesi dai Paesi membri nella loro economia interna”.

Deborah Ameri

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