Strani giri di assegni, un viaggio senza scorta fino a Verona, un incontro con un uomo legato alla ‘ndrangheta. Sono queste le ultime novità che rischiano di minare per sempre la credibilità di Massimo Ciancimino. L’uomo che ha tenuto incollati allo schermo decine di milioni di italiani con le sue dichiarazioni di abiura del mondo mafioso e con i suoi torrenziali discorsi su trattativa, capitali mafiosi investiti a Milano e rapporti tra Carabinieri e Provenzano, è caduto poche settimane fa in un infortunio dal quale rischia di non rialzarsi con tanta facilità. “E’ tutta colpa del mio commercialista. E’ stato lui a presentarmi Girolamo Strangi ma io non sapevo chi fosse e non sembrava certo un tipo legato alla ‘ndrangheta”, è la sua difesa con Il Fatto Quotidiano. Ciancimino ce la mette tutta. Per uscire dall’angolo nel quale è stato cacciato dalle rivelazioni de La Stampa e de Il Corriere della Sera sui suoi rapporti con un uomo legato al clan Piromalli, arriva a far sentire al cronista persino la telefonata con il commercialista Paolo (non vuole rivelarne il cognome) al quale rinfaccia sconsolato: “Guarda in che casino mi hai cacciato”. La sensazione è però che stavolta sarà dura per il supertestimone che ha parlato dei rapporti tra mafia e politica convincere l’opinione pubblica e i magistrati di non avere nulla da nascondere su una storia che, anche se non riveste alcun connotato penale, resta per lui molto imbarazzante.

Secondo le rivelazioni apparse oggi su La Stampa e Il Corriere della Sera, tra una presentazione del suo libro e le numerose testimonianze e interviste, Ciancimino avrebbe mantenuto rapporti border-line con soggetti legati alla criminalità calabrese. Alcune settimane fa la sua voce è stata registrata dalle cimici piazzate dalla squadra mobile di Reggio Calabria nell’ufficio di Verona di Girolamo Strangi, indagato per appartenenza alla ‘ndrangheta dalla Direzione distrettuale antimafia. “Quando mi senti in televisione, tu fottitene», sarebbe stata la frase con la quale, scrive il Corriere della Sera, Ciancimino avrebbe rassicurato il suo interlocutore calabrese. Il colpo al testimone più intervistato dalle tv non poteva essere più duro. Come al solito il figlio di don Vito si difende attaccando: “La fuga di notizie in questo momento, mentre sto facendo dichiarazioni delicate puzza di ritorsione. A questo punto”, replica Ciancimino, “ho deciso con mia moglie di interrompere ogni rapporto con le Procure. Voglio riappropriarmi della mia vita e ridare serenità alla mia famiglia”.

Il due quotidiani descrivono puntualmente l’episodio oggetto di un’informativa segreta ma conosciuta dalla Direzione Nazionale Antimafia e da tre Procure: Reggio; Palermo e Caltanissetta. Ciancimino in un giorno di fine ottobre lascia la sua scorta a Bologna e parte da solo alla volta di Verona per infilarsi nell’ufficio di Girolamo Strangi, già incappato in passato in indagini per associazione a delinquere, truffa e false fatture. I magistrati di Reggio Calabria ascoltano le sue conversazioni perché sospettano Strangi di essere diventato un possibile terminale degli affari al nord della cosca Piromalli che domina da decenni la piana e il porto di Gioia Tauro.

Massimo Ciancimino quel giorno macina chilometri con la sua automobile perché il suo commercialista gli ha proposto di coinvolgere il calabrese nell’acquisto di una partita di acciaio.  Secondo il Corriere e La Stampa, sarebbe Ciancimino a proporre a Strangi di consegnargli centomila euro in contanti contro assegni emessi dal calabrese per settantamila euro. Una percentuale del 30 per cento per il cambio contante-assegni solitamente serve a far sparire le tracce dell’origine di soldi poco presentabili. Se la storia è andata davvero così un soggetto come Ciancimino Jr, già condannato in appello a 3 anni e 4 mesi per il reimpiego del tesoro del padre, sarebbe sospettato di usare gli assegni di Strangi per giustificare un flusso di denaro liquido. A rendere ancora più imbarazzante la situazione sarebbe un viaggio a Parigi: la conclusione dello scambio sarebbe stata rinviata dopo un viaggio in Francia per reperire il contante.

Ciancimino non ci sta: “Quelle frasi sono state estrapolate dal contesto. Io non riciclo il denaro con la ‘ndrangheta e non mento in tv”. E allora cosa è successo in quell’ufficio di Verona?

Questa è la versione di Ciancimino: “Proprio grazie alle indagini, le banche non mi fanno credito facilmente e il mio commercialista mi aveva promesso alcuni finanziamenti mai arrivati. Paolo si sentiva responsabile di avermi fatto perdere 200 mila euro in una truffa nella quale sono incappato a Ferrara per colpa di un suo conoscente e nella quale anche lui a dire il vero è stato una vittima. Per questo cercava finanziatori interessati a entrare nelle operazioni di acquisto nel settore dell’acciaio. A un certo punto a ottobre dopo tante promesse vane, Paolo mi dice che un suo amico a Verona è interessato a espandersi dal ferro all’acciaio. Il suo amico vorrebbe prestare (non a me ma a lui) i soldi per investire in un acquisto importante che stavamo facendo. Così accetto di andare a Verona da solo e senza scorta. Un primo appuntamento era saltato perché gli imprenditori preferiscono evitare lampeggianti e poliziotti e poi era stato deciso tutto all’ultimo momento. Paolo mi aspettava all’area di servizio dell’autostrada e poi l’ho seguito fino all’ufficio di questo signore che non avevo mai visto. Quando mi riconosce e mi chiede: ‘ma cosa ci fa lei che ha un tesoro nel mio ufficio?’ Io gli ho risposto di non credere alla televisione. Ma solo per questo aspetto non certo per le mie dichiarazioni. Comunque poi l’affare è andato avanti e questo signore ha consegnato effettivamente assegni per 60 mila euro al commercialista”.

E la storia dei 100 mila euro in contanti in cambio di 70 mila euro in assegni ottenuti da Strangi? “Non è andata così. Gli investigatori devono avere invertito il senso delle mie parole. Era Strangi che chiedeva al commercialista di avere indietro i soldi investiti in assegni, in parte in assegni e per una parte in contante. Non c’è stato nessun versamento di soldi in contanti da parte mia a Strangi. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Se avessi avuto 100 mila euro in contanti me li sarei tenuti e li avrei spesi o investiti. Oggi quello che manca nel mondo degli affari è la liquidità. Non avrebbe avuto alcun senso dare 30 mila euro a Strangi per convertire contanti in assegni”. Le due versioni sono quindi opposte e non conciliabili.

Ciancimino Jr si descrive come un imprenditore a caccia di liquidità che incappa in un finanziatore poco raccomandabile. Mentre gli investigatori, secondo i giornali, lo descrivono come un uomo pieno di contante da far rientrare in Italia con una giustificazione cartolare mediante una triangolazione che coinvolge un calabrese legato alla ‘ndrangheta.

Saranno le indagini ora a chiarire come sono andate davvero le cose. “Una cosa è certa”, ci tiene a dire Massimo Ciancimino, “Il momento in cui queste notizie escono mi pare molto sospetto. Gli investigatori avrebbero dovuto attendere per verificare dopo il mio viaggio a Parigi se davvero si trattava di riciclaggio. E invece la notizia di un fatto avvenuto poche settimane fa finisce addirittura sui giornali prima di ogni verifica. Forse perché la verità è che io vado a Parigi con i punti mille miglia per far distrarre mia moglie e mio figlio”. L’intercettazione “che incastra Ciancimino”, come titola in prima pagina il Corriere della Sera effettivamente compare in un momento delicatissimo per le indagini e per i rapporti all’interno dell’antimafia.

Pochi giorni fa i giornali hanno pubblicato le anticipazioni dei verbali di Ciancimino jr su Gianni De Gennaro, attuale capo del Dis (servizi segreti) e già numero uno della Dia e poi della Polizia. Qualche settimana fa Massimo Ciancimino avrebbe confidato a un funzionario della Dia di Caltanissetta, che lo ha subito riportato in una nota informativa, quanto appreso dal padre sul conto di uno dei simboli dell’antimafia italiana. Gianni De Gennaro, secondo Vito Ciancimino, sarebbe stato molto vicino al signor Franco, l’anonimo personaggio che teneva i rapporti tra i servizi segreti, la mafia e la politica. Addirittura, secondo alcuni resoconti di questa informativa segreta, Ciancimino jr avrebbe detto al funzionario che il referente del padre sarebbe stato – secondo Vito – Gianni De Gennaro. Queste affermazioni, poco credibli e in apparente contrasto con quanto dichiarato in precedenti interviste e verbali dallo stesso Ciancimino, sono finite anche in un verbale di testimonianza davanti ai magistrati di Palermo. Anche se la versione consegnata ai pm da Ciancimino jr è molto più vaga di quella riferita al funzionario della Dia. Mentre Gianni De Gennaro annunciava una querela, la Procura di Caltanissetta ha fatto sapere ai giornali di non voler più sentire a verbale Massimo Ciancimino. Più cauta la posizione della Procura di Palermo. Anche dopo le ultime dichiarazioni su De Gennaro, infatti, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia ha ribadito la sua posizione “laica”: “Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino vanno valutate caso per caso. Sono attendibili e apprezzabili solo quando sono riscontrate”. Alla stessa regola bisognerà attenersi per chiarire la strana storia dei suoi suoi affari con Girolamo Strangi.

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