Un paese con una sola piazza, tre fontanelle e un polo industriale. È Pomigliano d’Arco, luogo simbolo del nuovo corso dettato da Marchionne e dal referendum che l’ha ratificato: perdita di diritti in cambio di lavoro.

Pomigliano è il set e insieme il protagonista di RCL-Ridotte capacità lavorative, un reality movie, come lo definisce il regista Massimiliano Carboni, interpretato da Paolo Rossi e in cartellone al Festival di Torino il 2 dicembre (nelle sale dal 10 dicembre)

Il film è il tentativo, riuscito, di raccontare le vicende Fiat con un linguaggio diverso dalla cronaca, incontrando gli operai, i sindacalisti e le autorità locali nelle strade e nelle case di un paese dove la Fiat ha cambiato tutto, perfino la toponomastica: via Po, via Torino, via Alfa, piazza Piemonte.

A condurre l’inchiesta su che cosa è davvero successo con il referendum interno ai dipendenti Fiat, è Paolo Rossi nei panni di un regista che, accompagnato da una piccola troupe, fa i sopralluoghi a per la preparazione di un ipotetico «vero» film su Pomigliano. Il suo viaggio, dentro gli eventi e lontano dai luoghi comuni, comincia dalle strade dell’ex «Forte Apache della sinistra», dove i muri sono ricoperti non da scritte politiche ma da frasi d’amore («Amore mio, dopo dieci mesi: ti amo!”) e il sindaco non è di sinistra ma di destra. Sindaco che, interrogato sotto il sole cocente di luglio, ammette che sì, nel nuovo contratto «la Fiat ha messo condizioni un poco più pesanti del normale» e conviene che «la catena di montaggio fa male. Ma a chi non la fa, cioè a chi non lavora».

Di sinistra, o comunque più vicino alle istanze degli operai, è invece il parroco, don Peppino Gambardella. Paolo Rossi e il suo seguito (Emanuele Dell’Aquila, il musicista che lo ha affiancato in tanti lavori teatrali, due operatori, un fonico: tutti sempre in scena, contemporaneamente autori e attori) ascoltano dal prete, nella sua chiesa, la storia di come i contadini del luogo furono attirati dall’industria (allora militare: l’Alfa Romeo lì costruiva aerei nel periodo bellico) che li sottraeva ai rischi del raccolto, ai ritmi della natura. «Ma anche ai valori della cultura contadina» chiosa don Peppino. «Per esempio quelli dell’accoglienza e della solidarietà: il valore del cortile dove tante famiglie vivevano insieme e insieme affrontavano i problemi di tutti».

Che cos’è rimasto, oggi, di quei valori? Che fine ha fatto la solidarietà in una fabbrica dove sono a rischio 5.100 posti di lavoro «bianco» in terra di camorra e dove lo sciopero non è più un dritto acquisito?

Il referendum e la conseguente spaccatura fra la maggioranza che ha votato “sì” alle nuove regole dettate da «Melchiorre» (così Paolo Rossi chiama per tutto il tempo Marchionne) e la robusta minoranza che vi si è opposta hanno minato la solidarietà di classe?

La risposta viene dai partecipanti (tutti dipendenti o cassintegrati Fiat) alla grande grigliata all’aperto cui partecipa anche la troupe: alcuni hanno votato sì, altri no, ma restano amici e mangiano e brindano insieme a mogli e figli («Sì, ho fatto una figlia in Cassa integrazione.E che, non dovevo farla? Non si facevano i figli anche in guerra?»). «Chi ha votato “sì” vuole la produzione, la Panda, gli investimenti. Chi ha votato “no” vuole la produzione, la Panda, gli investimenti, ma nel rispetto della Costituzione » dice uno dei commensali. Piccolo diverbio con un compagno di tavola e di lavoro («e che c’entra la Costituzione?») ma poi tutti d’accordo sulla durezza del lavoro alla catena di montaggio.

Quello della catena di montaggio è il tormentone del film: Paolo Rossi vuole capire (e spiegare al pubblico) che cos’è realmente, come funziona, che danni provoca. Lo chiede a tutti, e tutti gli rispondono con un altro tormentone: «Hai presente una scala mobile? Ecco, immagina di risalirla al contrario e intanto avvitare, chinarti, alzarti, insomma lavorare, sempre sulla scala mobile al contrario». Un lavoro logorante, che rovina i muscoli e lo scheletro. E che in capo a più o meno anni può ridurre gli operai a RCL, ovvero lavoratori a ridotte capacità lavorative. Che fine fanno questi operai? Lo spiega, davanti ai cancelli della fabbrica, il sindacalista Andrea Amendola: «Gli RCL vengono messi in un padiglione a parte, costruito apposta fuori dallo stabilimento, una specie di ghetto dove, oltre a loro, sono confinati altri indesiderabili, cioè le teste calde, i lavoratori sindacalmente più attivi. Una riedizione dei famigerati reparti punitivi della Fiat anni Settanta».

La Fiat degli anni Duemila, si dice, è diversa: i reparti di allora stanno a quelli di oggi come il gessato di Agnelli sta al girocollo di Melchiorre, pardon Marchionne. Ma il sindacalista Amendola gela Paolo Rossi quando racconta di come i dipendenti siano spiati sul posto di lavoro e fuori, o quando spiega il «programma di rieducazione» (lo chiama proprio così) made in Pomigliano: «Sono venuti in fabbrica i fratelli Abbagnale a dirci che bisogna lavorare, che il team, la squadra, è importante E ci hanno fatto pure fatto vedere quel film di Al Pacino sul football, Ogni maledetta domenica, sullo spirito di squadra. Ma poi ci tolgono la possibilità di discutere: gli operai non possono comunicare fra loro, dirsi i problemi che ci sono. Per quello bisogna aspettare l’assemblea, e per fare l’assemblea bisogna chiedere il permesso alle organizzazioni sindacali, e se poi si fa l’assemblea, i lavoratori di nuovo non riescono a parlare…».

Che razza di film può venire fuori da questo curioso sopralluogo dove, a un certo punto, cade dal cielo perfino una lettera (autentica) degli operai Fiat polacchi che chiedono e danno solidarietà ai colleghi italiani?

Paolo Rossi non ha dubbi, un film di fantascienza: con Shakira e Nino D’Angelo che scendono da un’astronave eruttata dal Vesuvio e incitano alla lotta di classe. Ma c’è il fondato sospetto che quel film non si farà.

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