L’Agenzia anti corruzione della Repubblica Federale della Nigeria ha spiccato un’accusa formale contro l’ex vicepresidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, in relazione alla nota vicenda di corruzione relativa al maxi progetto di realizzazione degli impianti di liquefazione del gas presso Bonny Island, nel sud della Nigeria. Un affare da oltre 6 miliardi di dollari.

Secondo l’accusa, tra il 1994 e il 2004, il consorzio TSKJ (formato dalla francese Technip, dall’americana KBR – una sussidiaria della Halliburton di cui Cheney è stato presidente fino al 2000, dalla giapponese JGC e da Snamprogetti, appartenente al Gruppo ENI) avrebbe pagato oltre 180 milioni di dollari a politici nigeriani per ottenere la commessa. Dopo le accuse mosse dalla giustizia americana, lo scorso anno Halliburton e KBR avevano patteggiato accettando di pagare una multa record da 579 milioni di dollari. Nell’ambito dello stesso procedimento anche l’Eni aveva scelto la strada della transazione sborsando 365 milioni di dollari. Ma la vicenda non è affatto chiusa.

Accanto ai giudici americani, si sono infatti mossi anche gli inquirenti italiani e nigeriani. La scorsa settimane le autorità della Nigeria’s Economic and Financial Crimes Commission hanno fermato dieci dipendenti della Halliburton per sottoporli a un interrogatorio scatenando la dura reazione della compagnia di Houston, Texas, che non ha esitato a definire l’operazione “un affronto alla giustizia”. La società stessa, riferisce il Financial Times, nega qualsiasi coinvolgimento diretto nella vicenda da parte dell’ex numero due della Casa Bianca.

Nei giorni scorsi, intanto, la Procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di corruzione internazionale per cinque ex manager della Snamprogetti, società ingegneristica del Gruppo Eni che dal 2008 è ufficialmente incorporata in un’altra azienda del medesimo gruppo: la Saipem. Tra i destinatari del provvedimento emesso dai pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro e dal gup Simone Luerti, figurano Luigi Patron e Angelo Caridi, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Snamprogetti all’epoca dei fatti contestati. Giuseppe Surace, direttore generale della Saipem Construction Company Limited, è stato arrestato la scorsa settimana in Nigeria nell’ambito della stessa vicenda.

Secondo la ricostruzione del tribunale di Houston, le tangenti sarebbero state pagate in una serie di tranche da LNG servicos e gestao de projectos, una società – con sede nel paradiso fiscale di Madeira – legata al consorzio e partecipata al 25% dal Gruppo ENI. Da lì le tangenti avrebbero preso la strada della Nigeria per mezzo di Jeffrey Tesler, un avvocato inglese e della sua società Tri-Star Investments Ltd, registrata a Gibilterra. LNG approvava gli importi delle mazzette e i destinatari con regolari delibere del Consiglio di Amministrazione, nel quale – in base ai dati della camera di commercio di Madeira – sedevano due rappresentanti di Snamprogetti: Antonio Falliti e Paolo Baicchi. Secondo quanto dichiarato da Spadaro e De Pasquale in un’intervista al Corriere, i due manager italiani sarebbero stati strategicamente assenti durante le votazioni del consorzio per decidere lo smistamento delle mazzette, che veniva comunque approvato dagli altri membri. In base alla deposizione di uno dei due manager, l’assenza “strategica” sarebbe stata l’effetto di un preciso ordine di scuderia di Snamprogetti, in modo che le tangenti fossero approvate, ma il Gruppo Eni risultasse “defilato”.

All’epoca dei fatti Falliti, in particolare era nel contempo consigliere di amministrazione della holding lussemburghese Baltoro Participations Sa, riconducibile ai magnati messicani del gas Zaragoza-Fuentes e della fiduciaria Asco Sa, con sede in Lussemburgo e a Ginevra. L’analisi dei documenti di Asco Sa Ginevra aiuta a ricostruire un percorso inedito nell’intricato giro delle tangenti nigeriane. Tra gli amministratori di Asco figura infatti, assieme a Falliti, un tale Franco Noel Croce. Un avvocato ticinese, per anni stretto collaboratore di Pierfrancesco Pacini Battaglia, banchiere italo-svizzero e tesoriere delle tangenti Eni a Ginevra negli ottanta e agli inizi dei novanta. Fino a quando Antonio Di Pietro non lo fa arrestare, nel 1993, con l’accusa di aver gestito con la finanziaria svizzera Karfinco miliardi di fondi neri per conto della società petrolifera italiana. In base alle ricostruzioni del giornalista Gian Trepp nel libro Swiss Connection, Franco Croce, il cui numero di telefono ginevrino era stato trovato già nel 1981 nella villa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, aveva fondato Karfinco con Pacini Battaglia, guidando due aumenti di capitale sospetti, a cui avrebbe aderito, attraverso una serie di trust panamensi e svizzeri, proprio l’Eni. Che usava Karfinco come riserva di liquidità illegale per pagare tangenti a uomini politici, come il tesoriere del partito socialista Vincenzo Balzamo.

Pacini Battaglia oggi fa il bibliotecario a Bientina, comune della provincia di Pisa dove vive. Nel 2006 è uscito dal carcere grazie all’indulto. Franco Croce, invece, continua ad essere attivo come fiduciario in almeno una decina di holding sparse tra la Svizzera e il Lussemburgo. In alcuni casi in compagnia proprio di Antonio Falliti, che l’ENI ha tenuto all’interno del consorzio di Madeira almeno fino al settembre del 2006. Dopo averlo scaricato dal Consiglio di Amministrazione di Snamprogetti Management Services SA di Ginevra nel febbraio del 2002.

A causa dell’intervenuta prescrizione, le accuse della procura italiana fanno riferimento alle tangenti versate da Snamprogetti a partire dal 2002 per un totale di 65 milioni di dollari. La posizione dell’Eni è stata invece stralciata e procede verso una probabile istanza di archiviazione.

di Matteo Cavallito e Mauro Meggiolaro

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