Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, il sito che ha reso pubblici i documenti, ha fatto la sua ultima apparizione in pubblico con un intervento video in una conferenza sul giornalismo investigativo che si è tenuta domenica ad Amman, Giordania. Il meeting, organizzato da Arab Reporters for Investigative Journalism (Arij) è stato ritenuto da Assange il luogo più appropriato per commentare il rilascio dei diplomatic cables dalle ambasciate statunitensi. Il più appropriato, forse, non certo il più sicuro. Come dice lui stesso nel suo intervento video, in collegamento da una non precisata località: “La Giordania non è il miglior Paese dove trovarsi, con la CIA che ti sta alle calcagna”.

Sin dalle prime pubblicazioni di cables contenenti comunicazioni secretate tra le ambasciate americane di tutto il mondo, l’uomo attualmente più ricercato dagli Usa si è reso irrintracciabile. Nella videoconferenza con Amman, in presenza di giornalisti provenienti da 18 diversi Paesi arabi, Assange afferma che gli Stati Uniti hanno raggiunto una “nuova concezione di spionaggio. Si tratta – ha detto – di qualcosa che, pur non essendo completamente nuovo, è nuovo a questo livello,” ha detto Assange. “Ci sono stati più casi di persecuzione dei media nell’amministrazione Obama che in tutte le amministrazioni precedenti messe insieme. Questo cambiamento è allarmante, in un regime che non crede nella libertà di stampa e non agisce come se ci credesse”.

I 250 mila documenti resi pubblici da WikiLeaks contengono di tutto: gossip dei piani alti, informazioni sulle tensioni tra stati, trascrizioni di strategie, losche trame, patti e paure. In una precedente conferenza stampa, il portavoce del dipartimento di stato, Philip Crowley, aveva definito i documenti come “diplomazia in azione”, affermando che la loro pubblicazione avrebbe messo a repentaglio delle vite. Rispondendo a questa accusa, Assange ha detto in conferenza: “Ci sono organizzazioni titaniche che quando vengono esposte al ridicolo in questo modo cercano di distrarre l’attenzione del pubblico dalla vera natura dei loro abusi. Per quanto siamo a conoscenza, nessun individuo è mai stato messo in pericolo a conseguenza di qualcosa da noi pubblicato”.

Di fatto, contatti tra il sito e il governo USA ci sono stati nei giorni scorsi. Venerdì, Julian Assange ha scritto all’ambasciata americana a Londra, a proposito dell’imminente pubblicazione dei cablaggi. In un’email indirizzata all’ambasciatore Luis Susman, aveva chiesto al governo americano di nominare “casi specifici, nomi o numeri di catalogazione [di file], la cui pubblicazione potrebbe mettere individui a rischio”, precisando che “WikiLeaks avrebbe rispettato lo stato confidenziale dei dati forniti dal governo degli Stati Uniti e avrebbe considerato ogni informazione fornita in tempo”.

Pronta risposta dal legale Harold Hongju Koh, che ricorda a Assange che la pubblicazione di documenti secretati consiste in una “violazione della legge degli Stati Uniti”, sia per le fonti che hanno fatto avere a WikiLeaks tali documenti, sia per il sito in caso di pubblicazione – o per il loro semplice possesso. “Non entreremo in alcun negoziato sulla pubblicazione di materiale secretato ottenuto illegalmente,” scrive il legale americano, esortando Assange a non pubblicare e a “distruggere tutto il materiale dai database di WikiLeaks”. Parlando alla conferenza, Assange ha accusato la mancanza di collaborazione del governo degli Stati Uniti come prova dell’interesse del Paese volto non ad eliminare possibili rischi a persone, ma a “coprire le prove di abusi sui diritti umani e altri comportamenti criminali”.

“Nel corso degli ultimi mesi molte delle mie attività ed energie sono state spese per preparare l’imminente rilascio della storia diplomatica degli Stati Uniti,” ha aggiunto. “Abbiamo visto nelle scorse settimane che gli Stati Uniti hanno cercato di diminuire l’effetto che [la pubblicazione dei documenti] potrebbe avere. Hanno contattato quasi ogni nazione del mondo, per informarli su alcune delle rivelazioni imbarazzanti che faremo”. Di imbarazzo ce n’è sicuramente, si trova senza fatica. I commenti su leader mondiali, spesso coperti di ridicolo dai diplomatici americani, non faranno bene alle prossime visite di stato. Senza contare le rivelazioni su presunti spionaggi da parte di diplomatici americani su membri dell’Onu e il suo segretario generale, Ban Ki-moon – con tanto di richieste di informazioni su password, dati biometrici e carte di credito.

La portata delle conseguenze di quest’ultima rivelazione marchiata WikiLeaks è ancora da comprendere appieno. Mentre i vari stati fanno a gara per minimizzare il valore delle informazioni contenute nei documenti, molti parlano già di crisi diplomatica. Ma la magnitudo vera di questi file, scrive Simon Jenkins sul Guardian, va oltre i singoli casi. Essa mette in luce l’atteggiamento americano di chi ritiene di essere la “polizia del mondo”, e muove le pedine su di una scacchiera che è vista non in bianchi e neri, ma a stelle e strisce. “La misura in cui [questi documenti] sono sensazionali” – scrive Jenkins – “è in quanto mostrano la corruzione e la falsità di chi è al potere, e le discrepanze tra quello che dicono e quello che fanno.”

di Davide Ghilotti

Mentre la tempesta diplomatica infuria in mezzo mondo dopo la pubblicazione di più di 250.000 cablaggi delle ambasciate americane, l’attenzione si fa sempre più stretta attorno al principale volto del sito che è diventato lo spauracchio degli archivi segreti e dei file top secret
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