Non viaggio molto in aereo, ma le poche volte che lo faccio prendo aerei low cost, con partenza da Roma-Ciampino. Il dramma, però, è sempre il ritorno.

Gli orari delle compagnie low cost non aiutano e spesso si torna ad orari improbabili, stremati dalla stanchezza. Unica soluzione per il rientro a casa, quindi, il taxi.

Facile, in teoria. Una odissea, invece, a Ciampino.

Regolarmente, i tassisti che sono in attesa per prendere i clienti – dopo avermi chiesto dove vado – mi rispondono gentilmente che non sono disposti ad accompagnarmi. Il motivo inconfessato? La tariffa fissa, che li obbliga a portare i clienti al prezzo di trenta euro, se dentro le mura aureliane, come noto a tutti i romani, che, per questo, sono clienti indesiderati.

Tradito dal mio accento inequivocabilmente trasteverino, la prima volta, vista l’impossibilità di un ritorno a casa, ho approfittato di un caro amico che non vedevo da tempo, che, avvertito, è venuto di buon grado a prendermi e mi ha accompagnato fino a casa. Me la sono cavata con una buona dose di spaghetti alla carbonara, accompagnati da un ottimo vino rosso.

Ma, per carattere, non mi perdo di animo, e quindi, al mio successivo ritorno a Ciampino, ho provato di nuovo a prendere un taxi. Quella volta mi è andata bene (pensavo): approfittando della circostanza che ero al telefono, salii velocemente su un taxi, facendo cenno al conducente di avviarsi. Solo all’uscita dell’aeroporto gli comunicai la mia destinazione. A quel punto, senza nulla opporre, il conducente mi disse che la vettura aveva un problema improvviso e mi scaricò, letteralmente, alla stazione della metro Anagnina, avendo comunque la premura di chiedermi 10 euro. Metro, autobus, un pezzo a piedi ed eccomi a casa, dopo appena una ora e 45 minuti.

L’ultimo mio ritorno da Ciampino, in ordine di tempo, è di venerdì scorso. Mi imbatto in un signore cortese, che aprendomi la portiera mi chiede dove vado e se conosco la tariffa. Vedendo il mio silenzio ha probabilmente immaginato che fossi straniero, e, in un accento inglese degno di Oxford, mi ha chiesto di nuovo dove andassi. Gli ho detto “Trastevere, piazza Trilussa”.

Durante il viaggio mi ha allietato con una cortesia inattesa, spiegandomi – sempre in inglese – i pregi delle belle donne italiane e del buon cibo capitolino. Dopo un po’, vedendo che rispondevo a monosillabi “yes, yes”, ha lasciato stare, ed ha proseguito la sua corsa fino a destinazione.

Arrivato sulla piazza, mi ha domandato se mi servisse la ricevuta, e poi mi ha chiesto, sempre con la sua grande cortesia, sessanta euro. Il doppio della tariffa.

Non dimenticherò mai il colore della sua faccia, dopo avermi sentito chiedere, nel mio perfetto trasteverino, perché mi avesse chiesto il doppio di quanto stabilito dall’ordinanza comunale. Dopo qualche improbabile tentativo di convincermi del fatto che avessi compreso male, tesi chiaramente improponibile alla luce della sua fattura di 60 euro, ha quindi dovuto ammettere le sue responsabilità.

Come me, anche alcuni miei amici (inglesi e giapponesi), sempre partendo da Ciampino, sono stati vittime di analoghe truffe. Per essere esatti, i genitori del mio amico John si sono visti richiedere 150 euro per andare a San Giovanni e la mamma della mia amica nipponica ha dovuto pagare 200 euro per andare vicino al Colosseo.

Stamattina, uscendo con la mia piccola valigia, sono passato davanti alla fermata dei taxi, ed un signore, gentilissimo, mi ha chiesto “taxi, mister? Airport? Ciampino? Fiumicino?

No, grazie. È meglio di no”, gli ho risposto.

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