Kareem Amer è libero. Il blogger egiziano diventato uno dei personaggi simbolo della mobilitazione internazionale per la libertà di espressione sul web è stato rilasciato lunedì scorso dal carcere di Alessandria d’Egitto dove era rinchiuso da quattro anni.

1470 giorni dietro le sbarre per aver istigato all’odio contro l’Islam e aver insultato il presidente Mubarak dalle pagine del suo blog www.karam903.blogspot.com, secondo la sentenza del 22 febbraio 2007, emessa a quattro mesi dal suo arresto.

Una liberazione avvenuta con diversi giorni di ritardo nel corso dei quali lo studente ventiseienne è stato trattenuto illegalmente oltre la scadenza della pena subendo maltrattamenti fisici durante la detenzione presso il quartier generale del dipartimento della sicurezza di Alessandria, secondo quanto denunciato la scorsa settimana dalla Free Kareem Coalition e da diverse organizzazioni internazionali per la libertà di espressione e la difesa dei diritti umani, da Reporters Sans Frontières all’Arabic Network for human rights information, mobilitate da anni intorno al caso.

Finito nel mirino della censura governativa già nel 2005 per i suoi post contro l’interferenza della religione nella politica e le discriminazioni nei confronti delle donne musulmane, Karim Amer ha più volte denunciato nelle sue lettere dal carcere maltrattamenti durante la detenzione, dall’isolamento alle torture fisiche ignorate dai medici della prigione. Nel 2009 fu respinta la sua richiesta di revisione del processo così come quella di liberazione anticipata a cui avrebbe avuto diritto dopo aver scontato tre quarti della pena.

«Chiediamo ora alle autorità egiziane di intraprendere una nuova strada nelle relazioni con la comunità di web-cittadini egiziani. Si potrebbe iniziare dal mettere fine alle persecuzioni continue di cui sono vittime i blogger, sotto forma di arresti o persecuzioni giudiziarie” – commenta Reporter Sans Frontières annunciando la liberazione del blogger, a cui l’associazione aveva assegnato nel 2007 il premio Cyber-Freedom. “Inoltre, chiediamo che sia fatta giustizia per il caso di Mohammed Khaled Saïd, picchiato a morte dalla polizia il 6 giugno scorso davanti a un internet point, dopo che aveva pubblicato un video che dimostrava il coinvolgimento della polizia in un traffico di droga”.

Al 127esimo posto su 178 nella classifica della libertà di stampa di Reporters Sans Frontières, l’Egitto risulta anche nella lista nera degli Stati “nemici di internet” insieme a Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Iran, Uzbekistan, Siria, Tunisia, Turkmenistan e Vietnam. In totale, secondo i dati dell’associazione, sono ancora attualmente 112 i cyber attivisti rinchiusi nelle carceri del pianeta, di cui 10 in Iran, 16 in Vietnam e 75 in Cina, Stato che detiene il primato della repressione sul web con diversi casi di detenuti da oltre dieci anni.

Alle autorità di Pechino è rivolto l’ultimo appello per la libertà di informazione in rete di Amnesty International che chiede l’immediata liberazione di Cheng Jianping, condannata a un anno di “rieducazione attraverso il lavoro” con l’accusa di disturbo all’ordine sociale per aver twittato un presunto messaggio antigiapponese.

A Cuba, intanto, Yoani Sanchez, la blogger di Generacion Y, si è vista negare ancora una volta il permesso di uscita dall’isola da parte del governo di L’Avana. Invitata a partecipare alla manifestazione Scrittorincittà in corso a Cuneo, al suo posto sono arrivati solo una lettera e un videomessaggio.

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