L'F-35 Joint Strike Fighter

Per riportare i propri conti pubblici a un livello sostenibile ed evitare il collasso, gli Stati Uniti dovranno tagliare entro il 2020 quasi 6 mila miliardi di dollari della prevista spesa federale. Oltre un sesto della riduzione totale dovrebbe interessare il comparto della difesa. E’ la raccomandazione espressa dall’ultimo rapporto del Bipartisan Policy Center (Bpc), un’organizzazione creata nel 2007 da un gruppo di senatori tra cui l’ex candidato presidenziale Bob Dole e guidata oggi dal repubblicano Pete Domenici, già membro della commissione senatoriale al bilancio, e da Alice Rivlin, budget director durante la presidenza Clinton. La relazione, pubblicata in questi giorni, rafforza ulteriormente l’ipotesi di un ridimensionamento del budget del Pentagono a una settimana di distanza dalle proposte avanzate dalla commissione creata dalla Casa Bianca. Quest’ultima, nell’occasione, aveva suggerito un taglio di 100 miliardi di dollari sugli armamenti da qui al 2015.

Nell’ultimo decennio la spesa militare americana è cresciuta costantemente fino a raggiungere la terrificante quota di 700 miliardi all’anno. Una cifra, evidenzia il Bpc, equivalente al valore della spesa aggregata di tutte le altri nazioni del Pianeta. Per mantenere un buon livello di stabilità, raccomanda il rapporto, occorrerebbe congelare al livello attuale i fondi per la difesa (che compensano il 20% della spesa pubblica totale) nel periodo 2011-2016 limitandone successivamente l’aumento in relazione al tasso di crescita dell’economia nazionale. Tradotto si tratterebbe di ridurre la previsione di spesa di 1.100 miliardi. Tra le misure proposte anche la riduzione del personale dell’esercito, con la diminuzione progressiva del numero di militari di stanza in Asia e in Europa occidentale, nonché un ridimensionamento dei costi dell’assistenza sanitaria pubblica garantita ai militari in congedo.

La voce più interessante del programma resta probabilmente quella relativa ai grandi progetti di innovazione. Il riferimento, esplicito, corre immediatamente al maxi piano di rinnovamento dell’aeronautica militare che prevede la sostituzione dei vecchi caccia F-16 con i più moderni modelli dell’ormai celebre F-35 Joint Strike Fighter. Costruito dal gigante della difesa Lockheed Martin, in collaborazione con diversi partner stranieri tra i quali l’italiana Finmeccanica e la sua controllata Alenia, il velivolo dovrebbe essere realizzato in 2.457 esemplari che costerebbero al Pentagono 382 miliardi di dollari. All’inizio del 2010 la Lockheed aveva rivisto al rialzo i costi di produzione estendendo per altri due anni la fase di sviluppo dell’aereo, una mossa che aveva indotto il Government Accountability Office, la Corte dei Conti statunitense, a suggerire alla Casa Bianca una revisione del contratto. La scorsa settimana, la commissione presidenziale aveva proposto la cancellazione degli ordini di produzione della versione più sofistica del velivolo.

Il piano complessivo di ristrutturazione dei conti avanzato dal Bpc (e che oltre alla difesa interessa tra gli altri anche la sanità, il welfare e i sussidi all’agricoltura) prevede un risparmio in progressiva crescita che, a partire dai 5.900 miliardi del 2012-2020, potrebbe varcare quota 84 mila tra trent’anni. Un traguardo da raggiungere a ogni costo vista l’attuale emergenza rappresentata dall’espansione sregolata del debito federale.

Il debito pubblico statunitense ammonta oggi a circa il 60% del Pil, il livello più alto degli ultimi 57 anni. E il quoziente sembra destinato a deteriorarsi. Secondo il Bpc, l’attuale livello di spesa porterà il rapporto alla soglia del 100% entro il 2024 per poi sfondare l’incredibile barriera del 200% nel 2039 e raggiungere il terrificante 300% alla metà del secolo. In assenza di riforme, il Governo federale si vedrebbe già costretto nel 2020 a sborsare ogni anno all’incirca 1.000 miliardi di dollari, più o meno la metà delle tasse dei contribuenti, soltanto per pagare gli interessi. Per mantenere il rapporto debito/Pil sui livelli attuali, afferma ancora il Bpc, servirebbe un decennio di crescita costante a un tasso minimo del 6% – un livello mai raggiunto nel dopoguerra – o, per assurdo, un’imposizione fiscale per le fasce di reddito più alte pari al 91%. Quella dei tagli, insomma, sembra oggi l’unica strada realmente percorribile.

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