La sintesi la fa Pierferdinando Casini: “O Berlusconi ottiene la fiducia e si dimette o non la ottiene e va al Quirinale. In questo caso si apre la crisi e tutti, senza giochini, mostrano le carte. Io sono convinto che serva un governo di ampio respiro per il bene del Paese”.

Come nel quinto girone dell’inferno dantesco, in cui i lussuriosi sono tormentati da una tempesta che li trascina in un vortice perenne, così il premier si è ritrovato al punto di partenza, di nuovo a caccia di 316 parlamentari sicuri e di nuovo a tentare di far tornare a casa i finiani. Un vortice che questa volta ha una scadenza: il 14 dicembre, una data tramutatasi in imbuto da cui il premier potrebbe non uscire indenne. Voto di fiducia al Senato, sfiducia alla Camera e il giudizio della Corte costituzionale sul legittimo impedimento. E se sul lodo il Cavaliere nulla può, cerca di occuparsi di tenere insieme al governo. Ma ancora non sarebbe riuscito a individuare una strategia precisa. Lunedì scorso, durante un incontro ad Arcore, ha illustrato a Umberto Bossi una sorta di controribaltone. “Se mettiamo la fiducia prima al Senato, dove sicuramente la otteniamo, riusciamo a far vedere agli indecisi alla Camera che la crisi non è affatto aperta”, ha spiegato. Il leader del Carroccio avrebbe confidato ai suoi seri dubbi sulla possibile riuscita. Ci ha pensato l’incontro che Giorgio Napolitano ha avuto con i presidenti di Camera e Senato a far chiudere nel cassetto quel progetto, reso inattuabile dalla decisione di votare lo stesso giorno in entrambi i rami del parlamento. Nel frattempo è partita la caccia ai deputati, affidata a Daniela Santanché che ha già riportato nel Pdl un fuoriuscito verso Fli: Giuseppe Angeli.

Ma per uno che torna altri sono pronti ad andarsene. Primo fra tutti il ministro Mara Carfagna, già da tempo pronta a mollare il Pdl e oggi in Aula sorpresa a parlare con il capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà, Italo Bocchino. Un “incontro” che ha scatenato un diverbio tra Carfagna e Alessandra Mussolini. Con la nipote del Duce che scatta una foto ai due e grida “vergogna” al titolare delle Pari opportunità. Secondo la deputata napoletana, ha poi spiegato, Carfagna ha due colpe: “Lo spostamento di competenze sul termovalorizzatore che questa mattina il Consiglio dei ministri ha sottratto alle Province”, quindi al presidente della Provincia di Salerno Edmondo Cirielli, i cui rapporti con il ministro delle Pari opportunità ultimamente sono tesi, e “il fatto che Bocchino nella finanziaria ha chiesto di spostare 20 milioni di euro al ministero della Carfagna”. Insomma di “inciucio” si tratterebbe. Mentre l’operazione della Santanché sarebbe un “ripescaggio”. Certo è che dalla maggioranza sono dati come fuoriusciti anche Dore Misuraca, verso l’Udc, Piergiorgio Massidda e Paola Frassinetti, in passaggio a Fli. Così come Giorgio La Malfa, mentre Paolo Guzzanti ha già fatto sapere che voterà la sfiducia.

Il toto deputati è appena ricominciato, ma è evidente che il Cavaliere è sempre più isolato. Persino la Lega sta seriamente valutando una exit strategy. Il senatùr avrebbe aperto un canale diretto con Casini: sì al governo tecnico senza Berlusconi ma con la garanzia di veder passare il federalismo a febbraio. Al leader dell’Udc il compito di portare a Fini la proposta. In cambio la Lega si è detta disponibile a mettere mano alla legge elettorale. Bossi continua a ribadire di voler andare alle urne il prima possibile perché “con il voto ci pensa il popolo a raddrizzare il governo”. Ma ciò che preoccupa maggiormente il premier è la popolarità in caduta libera: un sondaggio pubblicato da Repubblica lo vede al 32%, con Nichi Vendola al 48%.

Insomma in questi 26 giorni i falchi del Pdl, Ignazio La Russa con Sandro Bondi e Denis Verdini capitanati da Daniela Santanché, ne hanno di lavoro da fare. E anche da Fini è arrivata la conferma alla pace armata. Nel videomessaggio del presidente della Camera, messo in rete sul sito di Futuro e Libertà a fine pomeriggio, il leader di Fli ha richiamato chi governa alla massima responsabilità. “Vale ovviamente per Futuro e Libertà, ma in primo luogo vale per il premier, per quel che farà fino al 13 dicembre e per quel che dirà in Parlamento in quella occasione”, ha specificato in una nota Fini. Lo scontro finale è rimandato.

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