Mio figlio, otto anni e mezzo, terza elementare, oggi non è andato a scuola. Quest’anno gli è presa così. Ogni mattina si sveglia quasi piangendo. La scuola gli fa schifo, lo  annoia: insomma è meglio rimanere a casa, anche da solo, a leggere un libro o a vedere un film. Approfittando dell’assenza della mamma – così chi dice che i padri sono la rovina dei figli è accontentato – per una volta gliel’ho concesso. E’ rimasto a casa. A leggere un libro. A metà mattina l’ho stretto tra le braccia, come faccio spesso, con lui come con i suoi due fratelli più piccoli, respirando forte il suo profumo naturale di bambino. E ho cominciato a raccontargli una storia di cinema, come feci un po’ di anni fa, con le storie che divennero il piccolo libro Mi dicevano Pablo.

C’era una volta un gruppo di persone adulte che una notte di fine ottobre ha deciso di occupare un posto che si chiama Casa del cinema. Occupare un posto vuol dire diventarne per un periodo i padroni, che dal momento dell’occupazione in poi dettano regole, stabiliscono tempi e svolgono attività, per cercare di raggiungere un obiettivo. Questa volta in ballo, dicono, c’è la difesa del futuro del cinema italiano, a cominciare da quel luogo che vogliono togliere a chi il cinema lo fa e lo vive, per finire ai film, che se ne fanno sempre meno e con sempre più difficoltà. Il fine è nobile. Io, che mi trovavo lì più per curiosità che per convinzione, non tanto rispetto al fine, quanto in relazione agli strumenti e alle persone che li usano, comunque rimango, per capire meglio. Sono uno di quei pochi più di cento rimasti a presidiare per l’intera notte, facendo le veci di quelle molte centinaia che avevano votato l’occupazione, ma fatto il loro intervento da sepolcri imbiancati che tengono la loro posizione di privilegio, erano andate a cena, a cinema, a letto da soli o in compagnia, con la coscienza serena di chi quel che doveva fare l’ha fatto. Regalandosi dopo tanti anni ancora una volta il brivido della rivoluzione. Speravo, durante la notte, di viverlo anch’io quel brivido. Chi ha visto il mio intervento alle tre di notte, che ha imperversato su Facebook,  oltre a sapere cosa pensi, si è reso conto che l’unico brivido che percorreva il mio corpo era quello del freddo notturno, di quando hai sonno ma non puoi dormire. Me ne sono andato alle sei della mattina appunto infreddolito, assonnato, sconfortato.

Dopo qualche giorno quelle persone hanno deciso di invadere il famoso red carpet del Festival di Roma, nobilitando un oggetto che già solo con la sua esistenza da sempre umilia il cinema italiano. Ma questa sarebbe un’altra storia, da raccontare un’altra volta. Io all’invasione non c’ero, perché ero a Firenze, a ricordare Corso Salani. Forse mancavo solo io. Meglio così. Per una volta il cinema è tutto unito, per salvare se stesso dalla fine. Seguirà tra qualche giorno uno sciopero, allargato ad altri settori dello spettacolo.

Ma io, in questa mattina di metà novembre, abbracciato a mio figlio, che intanto si è giustamente addormentato, ho ancora i brividi di freddo e di sconforto della notte dell’occupazione.

Perché i quattro cinque produttori che contano raggiungeranno il loro scopo, di vedersi rinnovare tax credit e tax shelter, riuscendo a fare fronte comune con le centinaia di altri produttori che non se ne faranno niente.

Perché sempre quei quattro o cinque produttori che contano riusciranno a non cedere di un punto percentuale sui ristorni sugli incassi, che le centinaia di altri produttori continueranno a inseguire sognando di diventare come loro.

Perché gli esercenti avranno raggiunto in questo modo il loro scopo di proseguire nella digitalizzazione delle sale italiane, pronte a ospitare così sempre meno film italiani.

Perché le poche decine di autori affermati e consolidati potranno continuare la loro battaglia sul diritto d’autore, riuscendo a fare fronte comune con le migliaia di autori o aspiranti tali che il problema del diritto d’autore forse un giorno lo vivranno di striscio sulla propria pelle.

Perché chi ha bisogno di avere coraggio, perché spaventato, perché sente l’ansia del futuro, perché sente la precarietà, sarà soddisfatto perché una ventina di opere prime o seconde a 200 mila euro di media l’una lo Stato continuerà a sostenerle.

Perché quelli dei titoli di coda, la gente che lavora, continuerà a portare a casa la pagnotta, ma solo perché ancora per un po’ esisterà la fiction tv.

Perché così va da molto questo paese, unito a inseguire risate che seppelliscono: peccato che quelle risate siano stampate sempre su poche facce sbagliate e ad esser seppelliti siano sempre i più.

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