Siparietto comico-amaro sul proscenio radiofonico della Zanzara, programma condotto da Giuseppe Cruciani.

Nella puntata del 9 novembre, ospite d’eccezione è il popolare Califfo, recentemente balzato agli onori delle cronache per aver accoratamente chiesto aiuto allo Stato, su suggerimento di alcuni fidati amici e del senatore pidiellino Domenico Gramazio, e per aver quasi perentoriamente invocato la legge Bacchelli. Tale legge, n. 440 dell’8 agosto 1985, prevede un sussidio economico a quegli artisti che sono spiccati nel mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, ma che versano in situazioni di indigenza. Il fatto che per il nostro Califano l’indigenza equivalga a intascare 20.000 euro annuali dalla Siae è un’inezia.

Ma in realtà la richiesta del cantante è molto più circostanziata: a lui non interessa il vitalizio in verdoni (che, a suo dire, sarà devoluto in beneficenza “davanti ai fotografi e ai giornalisti”), ma il possesso di “una capanna, di una casupola” dove garantirsi un giaciglio per la futura stagione senile.

Parte così un pistolotto alcaloidico di perle inarrivabili, roba da scatenare l’invidia ai titolisti del Giornale.

Ad, esempio, alla legittima domanda del conduttore, che gli chiede quanto paga attualmente in affitto, Califatto replica stizzito: “Sono caxxi miei”.

Alla puntualizzazione sugli sprechi disseminati durante la sua vita di bohemien, risponde piccato: “E che devo fare? Mi devo ammazzà?”.

Ma il trip mescalinico-etilico si raggiunge nel finale, quando Califano precisa le sue condizioni sulla “casupola” promessa dalla presidente della Regione Lazio: “Adesso vedo cosa mi propone la Polverini, perché se la casa non mi piace, col caxxo che la prendo”.

In effetti, è impossibile ingannarlo su queste faccende. Lui per le polverinate ha naso. O quel che ne resta.

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