Dopo il discorso di Fini e la debacle parlamentare dell’altro ieri, ormai una formale crisi di governo sembra imminente. Lo fa capire anche Gianni Letta, di solito una sfinge, ed è tutto dire. L’esito è incerto: c’è chi scommette su un governo di transizione e chi non esclude le elezioni anticipate, che però sono in pochi a chiedere. Molti danno Berlusconi per finito. Il quotidiano la Repubblica si è spinto a intitolare un editoriale di prima pagina: “E’ arrivato il 25 aprile”. Non ne sarei così sicuro. Non solo perché questo “imbecille morale” (la definizione è psichiatrica) è a capo di una alleanza elettorale ancora competitiva con la Lega e di un gruppo di potere capace di tutto, dotato di una forza economica e mediatica micidiale, ma soprattutto per l’inconsistenza dell’opposizione, che non ha ancora messo in campo un progetto politico alternativo. E questo peraltro spiega l’anomalia dell’attuale crisi: di solito il partito che si vuole distaccare dalla maggioranza a cui appartiene sfiducia il governo in Parlamento, mentre chi sta all’opposizione, di fronte a un governo in crisi, chiede le elezioni immediate. Qui accade il contrario: Fini lancia il suo ultimatum davanti alle telecamere quindici giorni dopo aver rinnovato la fiducia al governo, Bersani propone un governo tecnico “con chiunque ci stia”, al fine di cambiare la legge elettorale, peraltro definita “vergognosa” dallo stesso Fini, che a suo tempo la votò.

Chiamarla “opposizione” è eccessivo, più calzante il termine “minoranza”. Il problema è qui e l’abbiamo detto tante volte: fin quando il gruppo dirigente del maggior partito di minoranza parlamentare sarà composto più o meno dalle stesse persone che negli ultimi quindici anni si sono rivelate, con diversi gradi di responsabilità, i più fedeli alleati di Berlusconi, e dunque i corresponsabili di questa distruttiva involuzione della democrazia, nessun colpo d’ala e nessuna autentica alternativa saranno mai possibili. Ecco perché desta interesse, come un inatteso segno di vita, l’iniziativa dei cosiddetti “rottamatori” di Firenze, i quali chiedono innanzitutto il rispetto dello Statuto del partito, che stabilisce un tetto di tre mandati parlamentari e il metodo delle primarie per la selezione dei candidati in presenza di qualsiasi legge elettorale. Sarebbe una mezza rivoluzione in quell’ambiente.

Il sistema Berlusconi sta implodendo per manifesta indegnità. Le sue contraddizioni interne sembrano insanabili con il vecchio metodo della corruzione e dell’intimidazione. La sua putrefazione morale e la sua incapacità di governo sono sotto gli occhi del mondo. Dall’altra parte ci sono i comprimari di sempre: quelli che in Campania non trovano di meglio che candidare De Luca e in Sicilia si alleano con Raffaele Lombardo, ora sotto indagine per collusione con la mafia. Complementari, forse un po’ meno impresentabili, ma di sicuro non alternativi. Con loro siamo costretti ancora una volta a fare i conti perché sono riusciti in tutti questi anni a congelare i meccanismi del cambiamento interno e a disinnescare ogni mobilitazione di piazza.

L’ultimo biennio, il più torbido e violento dell’era berlusconiana, era da impiegare per la costruzione di un nuovo progetto politico. Così avviene in ogni democrazia dopo una grave sconfitta elettorale. Invece è stato buttato per le solite rivalità interne di una casta di impiegati del potere che hanno come priorità la propria sopravvivenza politica. Guardare con compiacimento alla caduta di un governo infame che si annunciava solidissimo, è umano. Ma sarebbe meglio non farsi troppe illusioni, perché non è una vittoria dell’altra Italia. Con un’opposizione seria, alle prossime elezioni, indipendentemente dalla legge elettorale, non ci sarebbe partita. Questa minoranza di sopravvissuti, al contrario, difficilmente riuscirà a dotarsi in tempo utile di una strategia convincente, davvero in grado di mobilitare la cittadinanza attiva e di riportare al voto gli astenuti di sinistra.

Una strategia politica ed elettorale che, secondo me, non può che essere fondato su questi elementi:

– un candidato primo ministro, da selezionare al più presto con le elezioni primarie;
– un programma di ricostruzione nazionale, da scrivere insieme ai movimenti della società civile e ben comunicato, di pochi punti essenziali che toccano i problemi reali del paese, a cominciare dal precariato;
– una coalizione omogenea di partiti che aderiscono al programma e sottoscrivono un patto per il governo;
– la selezione dei candidati al parlamento con metodo partecipativo;

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