La nomina di Umberto Veronesi alla presidenza dell’Agenzia per il nucleare doveva essere l’inizio di quello che all’Enel piace chiamare “rinascimento nucleare italiano”. Invece, dopo il consiglio dei ministri di venerdì che ha scelto l’oncologo milanese, l’impressione diffusa anche tra i più convinti “nuclearisti” è che la tanto attesa Agenzia, così come è stata composta, sia solo l’ennesimo segnale che, in realtà, in Italia l’atomo non tornerà mai. O almeno che il governo non ci crede più tanto.

LE NOMINE
Dicono che anche dentro l’Enel sono rimasti un po’ perplessi quando hanno saputo i nomi dei cinque membri dell’Agenzia. Oltre a Veronesi ci sono un magistrato esperto di terrorismo internazionale, Stefano Dambruoso, un professore di diritto amministrativo capo di gabinetto del ministero dell’’Ambiente (che lo ha indicato), Michele Corradino, e due veri esperti di nuclerare: i professori Maurizio Cumo e Marco Enrico Ricotti. Il problema, notano gli osservatori del settore, non è tanto che Veronesi ha 85 anni (con un mandato di sette) e che difficilmente l’anagrafe gli consentirà di rispondere di eventuali scelte sbagliate, visto che le prime centrali non saranno operative prima del 2020. Ma il messaggio implicito del governo, che ha ridotto al silenzio perfino gli entusiasti dell’Ain (Associazione italiana nucleare), è che in caso di dissenso i non-esperti possono mettere in minoranza gli unici due, Cumo e Ricotti, che davvero si intendono di impianti atomici e dei connessi pericoli. Come dire: la politica conterà più della competenza tecnica. L’Agenzia, però, non è un “ministero del nucleare”, ma un organismo con compiti esclusivamente tecnici: dalle decisioni sui materiali da usare alla gestione delle scorie ai regolamenti su come assicurare, durante la costruzione, il rispetto dei parametri europei. Professionialità come quella di Dambruoso o Corradino potrebbero essere utili in un secondo momento, ma non si capisce a cosa servano nella fase preliminare della costruzione. Che, comunque, non è imminente, visto che ancora a settembre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi scriveva alla Sogin, società pubblica specialista nello smaltimento delle scorie, che c’era ancora molto tempo per ragionare sulla gestione degli scarti delle centrali future. L’altro aspetto che lascia perplessi i nuclearisti italiani è che il governo insiste nel voler fare la supervisione nucleare a costo zero o quasi, sotto lo sguardo del ministro del Tesoro Giulio Tremonti che non transige. Nella legge 99 del 23 luglio 2009, le sole risorse previste per l’Agenzia sono 500mila euro nel 2009, poi 1,5 milioni nel 2010 e altrettanti nel 2011 (anche se la copertura reale, cioè soldi veri, c’è solo per la metà). Spiccioli che bastano giusto per pagare lo stipendio dei cinque membri della Agenzia e quelli delle loro segretarie. E il resto dell’appartato amministrativo? Si deve fare con quel che c’è a disposizione, cioè pescando all’interno delle risorse già disponibili per l’amministrazione pubblica.

IL PERSONALE
La legge del 2009 prevede un organico, comunque minimalista, di massimo 100 persone. Dove trovarle? All’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, e all’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, noto alle cronache per le proteste dei suoi ricercatori precari che hanno passato settimane sul tetto lo scorso inverno per denunciare il mancato rinnovo del contratto e lo smantellamento de facto dell’istituto. Dovendo operare a costo zero, l’agenzia si accontenta di quel che trova. Cioè soprattutto ingegneri prossimi alla pensione che erano esperti dell’altro nucleare, quello che c’era in Italia fino a 23 anni fa, prima che il referendum lo cancellasse sull’onda del panico per l’incidente a Chernobyl. “Qui le competenze sono ferme a trent’anni fa e gli ingegneri nucleari giovani, sotto i cinquant’anni, si contano sulle dita di una mano”, dice una fonte dall’Ispra. Situazione opposta all’Enea, dove qualche competenza nucleare è sopravvissuta (a ottobre hanno riacceso due reattori sperimentali vicino Roma): entro il 2011 dovrebbero esserci almeno 180 assunzioni in gran parte di giovani neolaureati in ingegneria, frutto di un severo concorso che deve rimpinguare l’organico dell’ente. Visto che, a parte i 50 che verranno trasferiti all’Agenzia per il nucleare, sarà comunque l’Enea a occuparsi dei dettagli più tecnici e a fare da punto di riferimento intermedio per le imprese che vogliono entrare nel business atomico. Troppo presto per dire se un’Agenzia così esile saprà gestire il compito, anche perché sull’intera struttura pende l’incertezza delle nuove norme sullo stoccaggio e la gestione delle scorie in discussione ora a Bruxelles.

LA SEDE

E’ un dettaglio, ma anche una partita di potere. Ancora non si sa dove sarà la sede dell’Agenzia per il nucleare. Dovrebbe finire a Roma ma l’uomo forte del nucleare italiano, Claudio Scajola, starebbe ancora facendo pressione perché vada a Genova, la città culturalmente più atomica d’Italia e zona d’influenza dell’ex ministro. Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica, cercava di portarla a Venezia ma pare si sia arreso. Anche perché, non essendo previste nuove assunzioni, sarebbe complesso spostare i dipendenti romani di Enea e Ispra così lontano.

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