Un’ora di attesa. Di voli pindarici, attacchi sottintesi, mai troppo diretti. Un’ora di alta oratoria, per Gianfranco Fini, dove, davanti alla sua gente radunata a Bastia Umbra, tocca tutti i temi sensibili, dalla cittadinanza per gli immigrati, fino all’economia e il lavoro. Poi la botta. Quello che tutti aspettano: “Berlusconi si dimetta, salga al Colle e apra la crisi. Senza questo colpo d’ala la nostra delegazione non rimarrà un’ora in più al governo”. E’ a questo punto che viene “giù” la sala. Un boato, tutti in piedi, liberi di gridare la loro gioia, di scandire il nome del fondatore di Futuro e libertà e di mettersi alle spalle il premier. Ecco: la due giorni perugina è tutta qui. Quarantotto ore per arrivare al punto focale, per dire a tutto il Paese: non si torna indietro, il Pdl è morto e con lui i compromessi ingoiati in questi due anni e mezzo di Berlusconi. Noi andiamo avanti, oltre lui.

E “lui” si è fatto sentire attraverso l’agenzia di stampa Agi, che riporta alcune riflessioni fatte con alcuni dirigenti del Pdl: “No agli ultimatum, la sfiducia va votata in Parlamento”, ha detto Silvio Berlusconi: “Da parte mia non c’è nessuna intenzione di dimissioni. Se Fini vuole aprire la crisi venga in Parlamento e si assuma la responsabilità di votare la sfiducia”. Della serie: rispetti le regole e vediamo chi si prende la responsabilità davanti agli elettori.

Comunque, a Bastia Umbra, è accaduto qualcosa di particolare che va oltre il discorso di Fini; qualcosa che nasce da prima, forse da quel 29 luglio quando il premier ha cacciato il cofondatore dal Pdl. “Da allora – racconta uno dei delegati – ci siamo sentiti traditi, umiliati. E forse, in noi, è scattato un moto di orgoglio”. Sì, la parola chiave è orgoglio. A settembre a Mirabello, durante la Festa Tricolore, era nell’aria, lo si percepiva chiara dalle parole dei volontari, dai gesti dei tanti amministratori locali giunti da ogni dove per spronare “falchi” e “colombe” a non tornare indietro. Al contrario i senatori e i deputati apparivano più cauti: i vari Fabio Granata e Angela Napoli non mancavano di smarcarsi, di attaccare il premier; ma dall’altra parte c’erano i Pasquale Viespoli a raffreddare le speranze, a dire “aspettiamo a vedere”. Fino a oggi. Il segnale è arrivato ieri, con l’introduzione dura, decisa di Italo Bocchino pronto a dire “ora vedrete cosa accadrà”. La certezza oggi dal palco, quando il ministro Ronchi ha rimesso il suo mandato e quello dei suoi colleghi, nelle mani di Fini. E’ stato uno dei momenti più alti, dove si è sanato e saldato lo spirito e la volontà di Fli con la sua gente, la stessa rimasta incerta dopo Mirabello.

Ecco quindi la strada imboccata del presidente della Camera, a partire da un tema sensibile per il centrodestra: “La legalità è la condizione essenziale per la libertà. Nel nostro manifesto dei valori – spiega – c’è il rispetto per la persona umana con la tutela dei diritti civili, senza alcuna distinzione e senza alcuna discriminazione. Rispettare la persona non vuol dire distinguere tra bianchi e neri, tra cristiani, musulmani ed ebrei, tra eterosessuali ed omosessuali, tra cittadini italiani e stranieri. La persona è al centro di qualsiasi cultura politica che voglia creare i presupposti per l’armonia. E la legalità è la condizione essenziale per la libertà”. Quindi l’attacco al cuore del partito (“Su questi temi il Pdl a rimorchio della Lega è il partito più arretrato d’Europa”), all’informazione (“Meglio certi giornali che non bisogna leggere piuttosto che i Tg velinari, nel senso delle veline del regime e non delle belle ragazze”) e un rimpianto per alcuni dei protagonisti della vecchia politica: “Credo che anche gli italiani lo abbiamo, del rigore, dello stile, del comportamento come Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa: la prima Repubblica era anche in queste personalità che non si sarebbero mai permesse di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato”.

E ancora il rifiuto dei famosi cinque punti, riproposti dallo stesso Berluconi, giovedì durante la Direzione nazionale del Pdl: “Il patto di legislatura è possibile solo se c’è una nuova agenda politica e un patto di governo da qui al 2013. Non basta il compitino dei cinque punti”. Infine snocciola una serie di temi ostili per il Popolo delle libertà e la stessa Lega: “Nuovo patto sociale, fiscalità di vantaggio per il Sud e soprattutto togliere di mezzo la legge elettorale della vergogna”. Ma per arrivare a tutto questo “Berlusconi deve avere il coraggio del colpo d’ala. Deve prendere la decisione di rassegnare le dimissioni, salire al Colle, dichiarare aperta la crisi e avviare una fase in cui si ridiscuta l’agenda, il programma e verificare la composizione del governo e la natura della coalizione”. Una coalizione nella quale deve entrare anche l’Udc. “Altrimenti Ronchi, Urso, Menia e Bonfiglio non rimarranno un minuto in più nel governo. Berlusconi decida se cambiare o tirare le cuoia”. Ovazione, da tutti. Lacrime, per alcuni. E la voglia di vedere cosa accadrà da domani.

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