Angelo Fracassi, presidente di Assobiomedica

Valvole cardiache, reagenti per gli esami del sangue, pacemaker, defibrillatori, apparecchi elettromedicali come la Tac o la risonanza magnetica. E poi protesi ortopediche e pannoloni per anziani. Insomma, quello che fa funzionare gli ospedali, i laboratori pubblici e privati. Assobiomedica, associazione di Confindustria, nel 2009 ha fatturato 7 miliardi di euro, l’80 per cento del mercato. Ma emettere le fatture, consegnare i prodotti, non vuol dire incassare i soldi. Il problema, ormai insostenibile per le piccole e medie imprese del settore, è che le Regioni, salvo rare eccezioni, pagano in media dopo 260 giorni, con punte, come la Calabria, di 700 giorni. Eppure, secondo la legge italiana, se il pagamento dei fornitori non avviene entro 60 giorni scattano gli interessi a carico della Asl: il tasso Euribor maggiorato di 7 punti, come ribadito da una recente direttiva della Ue, che concede due anni di tempo ai Paesi membri per adeguarsi.

Ma se esiste una legge perché non viene applicata? Molte Regioni, anche quelle virtuose, alle prese con i tagli dei trasferimenti da parte del Tesoro preferiscono dilazionare i pagamenti dei fornitori a costo di pagare interessi che possono arrivare al 10 per cento. Le imprese hanno quindi due strade. La prima: affidarsi a uno studio legale, fare causa alla Asl e attendere che l’amministrazione pubblica paghi. Ma questo vuol dire cercare i finanziamenti per tirare avanti e pagare gli interessi. Quindi, molto spesso, le imprese preferiscono scontare le fatture in banca. Un esempio pratico: ho fornito alla Asl protesi ortopediche per 100 euro. La banca diventa titolare del credito e mi anticipa 97 euro, poi se la vedrà lei per incassare. Oppure cedo i miei crediti ad una finanziaria e se ne trovano disposte anche a pagare 100 euro, tanto prima o dopo ne incasseranno centodieci. Questo meccanismo ha creato un gigantesco mercato di fatture “cedute” per miliardi di euro. E non tutte le finanziarie, che sono spuntate come funghi, hanno il dono della trasparenza. Un sospetto diffuso è che nel business siano entrate finanziarie contigue alla criminalità organizzata. Le multinazionali, che possono contare su una certa autonomia finanziaria, hanno iniziato a trasferire la produzione all’estero. Molte piccole imprese sono alla canna del gas e stanno tentando, con scarsi risultati, di cedere l’attività. Ma anche quelle di “medie” dimensioni rischiano il collasso, quindi sono già partite cassa integrazione e mobilità.

Come se non bastasse, fino al 31 dicembre 2010, è in vigore il decreto che blocca il pignoramento dei beni delle Aziende sanitarie locali. Angelo Fracassi è il presidente di Assobiomedica: “Il decreto sulla non pignorabilità è stato opera dell’ultimo governo Prodi, l’obiettivo era salvare la giunta Bassolino e la Regione Campania dalla bancarotta. L’opposizione protestò ma quando vinse le amministrative e sistemò i suoi governatori in Campania e Calabria, il decreto venne reiterato dal Tesoro per altri due anni”. Cosa succederà a partire dal gennaio del 2011? “Credo che il decreto verrà prorogato – dice Fracassi – altrimenti il governo ci chiederà di chiudere la partita applicando uno sconto del 15 per cento o di rinunciare agli interessi previsti dalla legge. Ma a quel punto potremmo anche decidere di bloccare le forniture, anche con i carabinieri in casa. Il sistema rischia il collasso, i debiti complessivi della sanità verso le aziende hanno raggiunto i 45 miliardi di euro”.

In attesa che qualcosa succeda, la Regione Lazio ha adottato il “sistema di pagamento centralizzato”. Visto che la Regione Lazio non riuscirà mai a pagare entro 60 giorni le fatture, ecco la proposta alle aziende: voi rinunciate agli interessi ed alle cause legali, le Asl certificano per via informatica le fatture, la Regione pagherà il debito entro 180 giorni. L’accordo che coinvolge anche le banche è decollato e sembra stia dando i primi frutti. Ma non tutti gli imprenditori hanno aderito. Non si fidano (e visti i precedenti non hanno tutti i torti). “Il sistema di pagamento centralizzato ci ha dato almeno la certezza che i soldi, anche se dopo 180 giorni sono sicuri – commenta il titolare di una piccola azienda che lavora nel comparto ortopedico e conta 20 dipendenti, sotto la tutela dell’anonimato – abbiamo paura che la Polverini cancelli il sistema per coprire altri deficit della sanità. Per noi sarebbe la fine”. Nelle aziende più grandi non va meglio. Luigi Sparano, amministratore delegato e socio di maggioranza della Radim, un’azienda che produce materiali e macchinari per la diagnostica in vitro (esami del sangue). “Nella sede di Pomezia lavorano 130 persone, in tutto 240 con lo stabilimento di Firenze e le tre filiali all’estero. Partecipiamo alle gare e quando le vinciamo forniamo ai laboratori di analisi il macchinario necessario in comodato d’uso gratuito. Il laboratorio ci paga i reagenti che servono per le analisi soltanto dopo 300 giorni”.

Per sopravvivere si chiedono anticipi alle banche, pagando poi salati interessi. Spiega Sparano: “La nostra sede in Brasile incassa entro 90-120 giorni, quella in Germania entro 44, mentre in Spagna l’attesa dura 230 giorni. In Italia il sistema è diventato insopportabile e crea enormi problemi alle aziende. Lo scorso anno siamo stati costretti a ricorrere alla cassa integrazione e alla mobilità per iniziare una profonda ristrutturazione. 25 dipendenti hanno lasciato l’azienda. Il sistema non regge più, ci sono clienti che hanno ricominciato a pagare con le cambiali. E questo è un pessimo segnale”.

di Mario Reggio

Da Il Fatto Quotidiano del 4 novembre 2010

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