Una montagna di soldi fa sempre comodo, soprattutto in tempi di crisi. Ma le ricchezze personali, è altrettanto noto, non fanno sempre la felicità. E’ una regola aurea che vale anche per la politica americana, protagonista in occasione del voto di Midterm della campagna elettorale più dispendiosa di tutti tempi. Lo hanno capito a proprie spese – è il caso di dirlo – i candidati più facoltosi che in queste ultime elezioni avevano investito il massimo impegno economico personale con l’obiettivo, quasi sempre mancato, di conquistare un seggio a Washington. Già, perché alla resa dei conti si scopre una realtà per certi versi sorprendente: tra i grandi sconfitti del weekend elettorale americano ci sono proprio quei candidati che avevano speso di più per finanziare la propria campagna.

A rivelare la notizia è stato il Center for Responsive Politics (Crp), un ente di ricerca indipendente di Washington che da quasi trent’anni fa i conti in tasca alla politica statunitense. Tra i 58 candidati che hanno sborsato di tasca propria più di mezzo milione di dollari per il Midterm, evidenzia il Crp, meno di uno su cinque ha conquistato la vittoria. Limitando l’indagine ai 32 che hanno attinto alla propria fortuna per oltre un milione di biglietti verdi il rapporto scende addirittura a 1 a 8, con i quattro vincitori – tre repubblicani e un democratico – a costituire l’eccezione alla regola generale.

Il caso più clamoroso si è verificato nel Connecticut dove a stabilire il record dei finanziamenti personali, limitatamente al voto per il Congresso e il Senato, è stata la candidata repubblicana Linda MacMahon. Un nome che agli osservatori internazionali non dirà forse molto ma che negli Usa è sinonimo da anni di immensa ricchezza. Insieme al marito Vince, la MacMahon è stata artefice di quella clamorosa macchina da soldi chiamata wrestling, che come sport sarà pure una buffonata ma in quanto ad affari riesce a imporsi in modo serissimo con un giro a nove zeri. Per la sua campagna elettorale, Linda ha sborsato di tasca propria ben 46,6 milioni di dollari ma il suo avversario, il democratico Richard Blumenthal che di suo pugno ne aveva messi in campo appena, si fa per dire, 2,2, le ha inflitto una pesante sconfitta.

La first lady del wrestling è comunque in ottima compagnia. A incassare la sconfitta anche l’ex ceo del gigante Hewlett-Packard Carly Fiorina, 5 milioni e mezzo sborsati di suo, e l’aspirante (rimasto tale) senatore del West Virginia John Raese (4,6 milioni). Cifre notevoli, cui vanno aggiunti i contributi esterni del fundraising (oltre 12 milioni nel caso della Fiorina) ma pur sempre distanti dal terrificante record realizzato dall’ex ceo di eBay Meg Whitman che, nel vano tentativo di conquistare la poltrona di governatrice della California, ha attinto ai suoi conti personali ben 175 milioni, in pratica 57 dollari per ogni voto ottenuto, incassando però una sconfitta per mano del democratico Jerry Brown.

Per quanto apparentemente sorprendente, la debacle dei candidati “d’oro” non rappresenta una particolare novità. «Generalmente i candidati che si autofinanziano ottengono poco e le elezioni 2010 non sono un’eccezione» ha dichiarato al Washington Post (Wp) il portavoce del Crp David Levinthal. Come dire che la faccia, le idee e perché no la fortuna, contano spesso più della disponibilità economica. Certo, i casi clamorosi in senso opposto, come quelli rappresentati dal governatore uscente Arnold Schwarznegger e dal sindaco di New York Michael Bloomberg, non mancano di certo. Ma il fantasma dei 63 milioni bruciati nel 1992 da Ross Perot, sfortunato terzo incomodo nella sfida presidenziale di allora tra Bill Clinton e George Bush senior, restano un monito per tutti. Anche se, ha ricordato al Wp la docente dell’Arizona State University ed esperta di finanza elettorale Jennifer Steen, in molti evidentemente faticano ad imparare la lezione.

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