Altro che dipendenti fannulloni e mangiapane a ufo! Nella pubblica amministrazione c’è chi lavora molto a stipendio zero. Decine di migliaia di dipendenti delle comunità montane italiane, infatti, non prendono lo stipendio da mesi grazie a un provvedimento del governo Berlusconi, ma non possono astenersi dal lavoro per non essere denunciati per interruzione di pubblico servizio.

Andando per ordine. La Legge 191/2009 (finanziaria 2010), comma 187, ha azzerato i trasferimenti finanziari alle comunità montane e quindi i pagamenti degli stipendi del personale (dirigenti, impiegati e operai), senza far cenno al destino di questi ultimi. Il personale colpito dai tagli ha cercato di ottenere il pagamento dalle Regioni competenti, riuscendoci parzialmente o temporaneamente in alcuni casi (Calabria ed Emilia Romagna) ma non in altri (Campania), perché l’ente regionale si è dichiarato incompetente sulle retribuzioni dei dipendenti delle comunità montane, scaricando la responsabilità sul governo.

In Campania, i dipendenti interni (630 persone tra impiegati, tecnici, dirigenti) sono stati pagati finché ci sono stati residui di precedenti trasferimenti (destinati ad altro e quindi utilizzati illegalmente per gli stipendi); a oggi gli stipendi non vengono più pagati (eccetto che in qualche comunità con residui di cassa); i dipendenti esterni (circa 5.000 operai forestali) hanno ricevuto il salario a tutto il mese di giugno e poi più niente; poiché sono operai a tempo indeterminato non possono essere licenziati ma lavorano senza progetti e senza copertura finanziaria.

In alcuni casi il personale colpito dai tagli è stato vittima una seconda volta, a causa degli amministratori regionali (sempre per tagliare le spese): in Campania alcune comunità montane contigue sono state accorpate con legge regionale n° 12/2008 dell’ottobre 2008 (in vigore da gennaio 2009), ma senza riguardo all’orografia, per cui in certi casi fra due sedi di lavoro degli stessi impiegati c’è una montagna, fatto che comporta difficoltà pure ai cittadini amministrati, che devono letteralmente scalare le montagne per un semplice certificato o una pratica in Comune.

A questo punto chiunque altro avrebbe incrociato le braccia, ma i dipendenti delle Comunità montane non possono, perché potrebbe essere loro contestata la violazione dell’art. 331 del Codice Penale (Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità), che prevede la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa non inferiore a lire un milione, nonché dell’art. 332 (Omissioni di doveri di ufficio in occasione di abbandono di un pubblico ufficio o di interruzione di un pubblico servizio), e dell’art. 340 (Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità), che per i capi, o promotori e organizzatori dell’eventuale astensione dal lavoro prevede la reclusione da uno a cinque anni.

Tanto più che le Comunità montane svolgono funzioni di presidio del territorio ai sensi dell’art. 44 della Costituzione (in alcune regioni effettuano interventi di somma urgenza – come ripristino della transitabilità delle strade, risanamento di versanti in frana, riapertura canali di scolo – a seguito di calamita’ naturali) e svolgono il servizio antincendio nel periodo di massima pericolosità. Quindi il blocco del servizio rischia di provocare danni di notevole entità.

Il 14 settembre l’Unione nazionale delle Comunità montane ha chiesto al Governo di sbloccare i trasferimenti concordati. Uncem si è appellata ai ministri Calderoli, Maroni e Fitto, perché mantenessero l’impegno assunto nel corso dell’incontro politico del 20 luglio scorso.

“Nonostante le dichiarazioni rese dai ministri in quella sede – ha detto il Presidente dell’Uncem Enrico Borghi – peraltro anche alla presenza di esponenti delle Regioni, oltre che di rappresentanti del ministero dell’Interno, dell’Anci e dell’Upi, a tutt’oggi non si hanno ancora notizie di provvedimenti che diano seguito a tali impegni e attribuiscano alle Comunità montane i trasferimenti erariali relativi ai fondi richiamati. Se all’azzeramento del fondo ordinario delle Comunità montane disposto dalla legge finanziaria 2010 si aggiunge anche il ritardo nell’assegnazione di questi trasferimenti, si aggrava sul territorio la già drammatica situazione per le Comunità montane e per i loro dipendenti, che in molti casi non percepiscono da mesi il dovuto trattamento stipendiale”.

E, mentre i 630 dipendenti interni delle Comunità montane della Campania hanno scritto il primo ottobre una lettera unitaria al presidente della Regione, al vicepresidente, ai capigruppo, alla giunta e ai presidenti delle commissioni, per la Cgil – intervenuta presso la Regione Calabria a favore dei 420 impiegati delle comunita’ montane locali – ‘”bisogna attivare tempestivamente le strutture regionali per il reperimento dei fondi necessari per garantire la regolare erogazione degli stipendi, per non aggravare le già precarie condizioni dei lavoratori, perché si tratta, in molti casi, di persone a capo di famiglie monoreddito”.

Il 7 ottobre il Presidente dell’Uuncem Borghi è stato sentito anche dalle Commissioni riunite bilancio di Camera e Senato in ordine alla Decisione di Finanza Pubblica per gli anni 2011-2013, ricordando fra l’altro la “situazione che stanno vivendo i dipendenti delle Comunità montane, da mesi senza stipendio”. Ma fra l’inerzia del governo e lo scaricabarile di alcune Regioni, le buste paga continuano a non arrivare, mentre il lavoro continue.

di Ri.Gum.

Il comma 187 cosi’ recita: “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunita’ montane previsto dall’articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunita’ montane. Nelle more dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunita’ montane e’ assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero dell’interno.(…)”.

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