E’ domenica. E a Firenze il popolo di Sel va a messa da Nichi Vendola. Circa un’ora e mezzo, ottantacinque minuti, tanto serve al leader di Sinistra ecologia e libertà per chiudere il primo Congresso, quello fondativo, farsi ufficialmente incoronare e dare l’assalto al centro-sinistra. “Attraverso le primarie che sono il pezzo forte dell’immaginario collettivo. Che travalicano i confini dei partiti: no, non possiamo più tornare indietro. Con quale alleanza? La più ampia possibile (anche con i centristi, ndr)”, racconta Vendola.

Raccontare, è il verbo chiave. Il suo non è un comizio classico, fatto di attacchi e risposte; accuse e strategie; alleanze dichiarate e altre sottaciute. Non nomina quasi nessuno degli altri rappresentati politici: sfiora Bersani e spiega l’esigenza dell’unità (“Siamo stati bravissimi a farci del male), cita un paio di volte Berlusconi e il berlusconismo come obiettivo da “abbattere”, accusa la Gelmini di distruggere la scuola e l’università. Sfiora D’Alema, vera presenza grigia del Congresso, forse detestato quanto l’attuale premier. E accusa Tremonti e la sua politica economica. Ma sono passaggi, veloci, piccolo cammei all’interno di un viaggio fatto di “suggestioni”, coma ama spesso precisare.

E’ un racconto, appunto, da inquadrare nel concetto di parabola cristiana. Non lo nasconde. Rivendica in più fasi il suo essere cattolico praticante, ricorda quali sono le sue basi formative e le schiaffa in faccia sia agli ex democristiani (“Che dopo la caduta della Dc hanno inseminato di clericalismo tutta la scena italiana”), sia ai delegati presenti: “Vedete, tra le tante diversità che dovete sopportare di me, c’è anche questa”. In platea c’è chi applaude e chi sorride. La sensazione, o suggestione, è che possa dire loro qualunque cosa: un po’ perché è un oratore straordinario, un po’ per l’estrema fiducia in lui riposta. Così li catechizza quando tentano un applauso fuori dal suo tempo, li solleva quando è il momento giusto, e li sollecita a porgere l’altra guancia “a cercare un nuovo francescanesimo laico”, o ad “aprire le porte e discutere”. E ancora li sprona “alla conoscenza reciproca”.

Tutti insieme: ecologisti, ex diessini, ex di rifondazione, ex e ancora ex di altro movimento ex. Lì, seduti e commossi, rapiti dal suo verbo. Con lui, Vendola, bravo a non deluderli. Ecco quindi, il suo discorso inframmezzato da passaggi rivolti a l’uno o all’altro: dalla necessità di ripensare generalmente l’ecosistema mondiale, o a garantire la sicurezza per Israele ma (anche) una patria per i palestinesi, fino alla riformulazione di un nuovo welfare (“Con una maturazione dei diritti sociali e di libertà e una battaglia per il reddito di cittadinanza”). Quindi l’abbraccio ideale con il segretario della Fiom, Maurizio Landini, attraverso l’appoggio allo “sciopero generale, perché noi abbiamo bisogno della Cgil, è l’Italia ad averne bisogno, per ricomporre quello specchio caduto in frantumi che ci permette di specchiarci. Ma sia ben chiaro, credo nell’indipendenza del sindacato”. Per poi puntare il dito contro i tagli alla cultura: “Proprio noi che siamo il paese di Verdi e Puccini. E nonostante l’industria della cultura sia la più grande dell’Italia con i suoi 300mila occupati, altro che parassiti. La verità? E’ che vogliono toglierci la possibilità di essere intelligenti e colti. Di essere liberi. Perché nati non fummo pere vivere come bruti”.

Punti pratici. Conferma il suo sì al “governo di scopo: anche se non siamo in Parlamento, ma visto che tutti me lo chiedono…”. Vuol dire: bene a una riforma elettorale ma niente riforme tecniche, alias economiche. Apre anche all’Udc, senza nominarla, “basta non ci siano veti o interdizioni. Bensì solo grandi compromessi”. Ma questi due ultimi punti li esplicita dopo, a discorso terminato e solo con i cronisti. Per il resto, alla fine dell’ora e mezzo, strappa la prevista e prevedibile ovazione. Anche qualche lacrima e pugno chiuso alzato quando gli altoparlanti diffondono “Bella ciao” in versione rock, cantata (o raccontata?) dai Modena city ramblers. Da Firenze parte l’avventura e la parabola di Nikita Vendola, detto Nichi. Bersani e gli altri lo sanno.

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