“Non arretriamo di un passo. Andremo avanti con l’accordo, rispettando i punti del decreto”. È questa la strategia del capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, annunciata ai microfoni dei giornalisti alle cinque del pomeriggio. La giornata, prima di questo annuncio, qui a Terzigno, era stata scandita da una manifestazione pacifica che ha visto circa 5mila persone sfilare fino alla discarica Sari. La polizia ha aperto il varco. Abbiamo visto mamme accarezzare i poliziotti e dir loro: “Lo sappiamo che state facendo soltanto il vostro dovere”. Ma è chiaro a tutti che, anche questa sera, l’appuntamento con gli scontri è quasi una certezza. Perchè come dice un ragazzo, questo, ormai, è “uno scontro di civiltà“. È un giornalista free-lance, ha poco più di vent’anni, partecipa attivamente al “movimento” contro la discarica e sulla rotonda di Terzigno, ormai, ci vive da settimane. Prende manganellate, respira l’aria satura di fumogeni, fuochi d’artificio e miasmi di monnezza. Filma gli scontri. Scambia file con i “compagni” nel resto d’Italia. Come dargli torto: le immagini sono quelle che sono. E anche la proposta di accordo, come vedremo, è nient’altro che la bozza d’un semplice, strategico braccio di ferro.

Verso la discarica Sari

Da giorni decine di poliziotti e carabinieri difendono con scudi e manganelli, e con i propri corpi, una discarica d’immondizia. Centinaia di manifestanti impediscono l’accesso dei camion alla discarica: fino a pochi giorni fa, il flusso, era di circa 150 mezzi al giorno. La gente è stanca, davvero stanca. Oggi siamo riusciti a varcare il cordone di polizia che blocca l’accesso alla discarica Sari: un’intera palazzina, a metà strada, ha le persiane chiuse ed è completamente disabitata. “I proprietari”, ci raccontano, “hanno provato ad affittare gli appartamenti a meno di 200 euro al mese. Nessuno ha accettato l’offerta”. La strada è dissestata, una frattura lunga decine di metri, profonda almeno venti centimetri, spacca in due la carreggiata: nessuno ha pensato di mettere in sesto questo tratto che conduce i camion alla discarica. Lo scenario è desolante: “Questo era un vigneto”, continuano a spiegarci, “il proprietario ha estirpato le vigne e come vedi ora è tutta vegetazione spontanea”. La distanza tra la discarica e le abitazioni è minima: in linea d’aria, nel raggio di un paio di chilometri, trovi le abitazioni popolari. Quelle dove la notte, poi, si consumano gli scontri.

Proposte indecenti

E’ pensabile costringere questa gente, che vorrebbe chiudere e mettere in sicurezza una discarica ormai prossima alla saturazione, a sopportare una seconda discarica, grande, per di più, ben cinque volte quella attuale? È proprio in questa domanda, la chiave dello “scontro di civiltà”, perché a guardare questa storia da vicino si scopre che c’è chi latita pericolosamente: la politica. Dopo giorni di scontri, tra ieri e oggi, c’è stata la trattativa tra sindaci, popolazione e protezione civile.

I sindaci di Terzigno, Bosco Trecase e Boscoreale, hanno rifiutato la “proposta” di Bertolaso e Berlusconi. Non avrebbero potuto fare altrimenti. E proprio perché la politica istituzionale è assente. Cosa hanno offerto Berlusconi e Bertolaso a questa gente? Prima la propaganda: “Risolveremo tutto in dieci giorni”. Poi l’astuzia del rimpallo: sei punti irricevibili, nessuna concessione e, per di più, una condizione di resa. Hanno rispedito la patata bollente ai sindaci. Di fatto li hanno neutralizzati. Il primo punto dell’accordo, infatti, è un contentino: “il conferimento dei rifiuti è sospeso per tre giorni”. Qui la gente è in piazza da mesi, alcuni da anni, e tre giorni di sospensione non cambiano nulla. Il secondo: “prelievi e accertamenti di natura sanitaria e ambientale, nei terreni della discarica, con la presenza di tecnici scelti dalla popolazione”. Ecco un altro elemento dello “scontro di civiltà” in atto: questi prelievi diventano una concessione barattata dopo giorni di lotta. Non sono invece un diritto? Non dovrebbe essere già stato acquisito dalla popolazione? Evidentemente, no.

E ancora: la nuova discarica viene “sospesa a tempo indeterminato” per “conseguire ottimali condizioni di compatibilità ambientale e della salute”. Nessuno, qui, ha capito cosa significhi: “sospesa a tempo indeterminato”. Un altro punto dell’accordo proposto da Bertolaso e Berlusconi: “partecipazione degli enti locali interssati al tavolo tecnico”. Un’altra elementare regola della democrazia che diventa oggetto di trattativa. E infine, il sesto punto dell’accordo proposto da governo e protezione civile, quello che tutti, qui, hanno interpretato per una netta provocazione: “Si sospendono le manifestazioni di protesta”. “In cambio di cosa?“, chiede la gente. “In cambio dei prelievi sanitari sul terreno che già ci spettano come diritto? In cambio della messa in sicurezza della vecchia discarica, che già ci spetta come diritto, e che dovrebbe essere chiusa per saturazione?”.

Dalla politica all’ordine pubblico

Il significato di questa trattativa fallita è duplice. Posto che il vero obiettivo, in realtà, non fosse proprio il suo fallimento. Il primo. I sindaci – anche i più desiderosi di accettare queste condizioni – sono stati sfiduciati dalla piazza. Non hanno avuto alternative: hanno abbandonato l’accordo e nello stesso tempo, almeno per il momento, paiono incapaci di gestire la rivolta. Paiono politicamente incapaci, infatti, proprio ai cittadini che li hanno eletti. Risultato: la “politica” è passata dalle istituzioni alla “piazza”.

Il secondo. In questo modo, sia il governo Berlusconi, sia la Protezione Civile – poco inclini a una “pratica” politica che possa definirsi “democratica” e a una progettualità che vada oltre l’emergenza – possono spostare il problema, dal piano “politico istituzionale”, a quello più “elementare” dell’ “ordine pubblico”. Risultato: il caso Terzigno può diventare il terreno da coltivare per recuperare – con azioni di forza, risolvendo il problema mostrando i muscoli – il consenso che Berlusconi sta perdendo da mesi.

Vento d’elezioni

In primavera si voterà per le elezioni comunali a Napoli, ultima roccaforte del centrosinistra in Campania, e se questa prova di forza dovesse funzionare, con lo “spot” abbiamo liberato la Campania dai rifiuti, la vittoria potrebbe essere in discesa. Tutto questo, però, deve fare i conti con un fatto nuovo: la piazza che s’incendia di notte.

Venti di rabbia

Sarebbe un errore pensare che i ragazzi incappucciati, armati di bombe da stadio e sassi, che la notte ingaggiano battaglie con carabinieri e polizia, siano malvisti dal resto della popolazione. C’è chi sostiene appartengano alla camorra. Forse è più corretto dire che sono cresciuti nelle regole del “sistema” della camorra moderna. A differenza di mamme e bambini, sanno cosa significhi lottare corpo a corpo con i poliziotti, e non ne hanno timore. Anzi. Per loro, lo “Stato”, è un nemico da sempre. Lo era prima, lo è ancor di più adesso. E se era difficile recuperarli alla democrazia prima, ora lo ancora di più, soprattutto quando senti qualcuno che ha il coraggio di ammettere: “Se non avessero bruciato i camion, voi giornalisti, qui, a raccontare ogni giorno quello che succede, non ci sareste venuti. Finché i camion non bruciavano, e non c’erano scontri, nessuno è venuto ad ascoltarci: eppure protestavamo pacificamente da mesi”. Questi ragazzi, adesso, rischiano di avere persino una legittimazione popolare: un consenso che rischia di condannarli per sempre all’illegalità. Il che, da un lato, offre ulteriori alibi a etichettare tutto come una questione di ordine pubblico e a risolvere la vicenda con la forza. E dall’altro a dimostrare che lo Stato, qui, non è altro che ordine pubblico ed emergenza, cioè “chiacchiere e distintivo”, come si diceva in un famoso film. Eppure, ciò che la gente chiede, in questa rotonda della “resistenza”, è un’alternativa al ciclo dei rifiuti: raccolta differenziata, riuso degli scarti, bonifiche, analisi costanti del territorio e delle falde acquifere. Proposte che dovrebbero arrivare dalla politica istituzionale. Ma l’opposizione non si vede, il governo propaganda di risolvere tutto in “dieci giorni”, e la piazza deve parlare per sé. Senza intermediazioni. In un vero “scontro di civiltà”.

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