Finalmente è arrivato l’autunno. Si suda di meno, correndo la mattina, in autunno. Dieci chilometri di corsa sembrano una passeggiata e tu non sai se è perché è autunno o perché semplicemente sei più allenato dell’estate appena trascorsa. In questi giorni inizia a fare freddo. Quando si corre al freddo, chi corre pensa al freddo. Perché quando si corre su lunga distanza in fondo non si pensa. O meglio uno poi non si ricorda a cosa abbia pensato correndo. Allora viene più facile dire che nei giorni freddi si pensa al freddo. E in quelli caldi, al caldo.

E’ un’illusione pensare che correndo si possa pensare a qualcosa di diverso dall’atto del correre.

Mi piacerebbe pensare e trovare il modo di dire, correndo, quello che vorrei dire. Invece mi ritrovo banalmente a pensare che sto percorrendo il settimo chilometro. Tra poco arriverà l’ottavo. E al decimo chilometro, che forse posso affrontare l’undicesimo. E al quindicesimo, che andando avanti così potrei arrivare al ventesimo.

Insomma, questa mattina, correndo, non mi è venuto proprio il modo di raccontare questo inizio d’autunno.

Mi sarebbe piaciuto, invece,  trovare il modo di dire che sono basito dall’intervista rilasciata da Paolo Virzì all’Unità, quella in cui l’erede di Scarpelli, commentando la candidatura a rappresentare l’Italia agli Oscar del suo film La prima cosa bella, racconta di una cinematografia in salute, in cui tutto va bene, perché tanto c’è sempre una Medusa a garantire libertà di espressione e di racconto o, come diceva Guccini, “un Bertoncelli o un frate a sparare cazzate”. Eppure dovrebbe esistere un modo diverso di dire, come è stato detto a suo tempo anche su questo giornale, che non è un caso che sia proprio Medusa a correre in questo autunno con il suo miglior cavallo d’annata verso gli Oscar. Ma è troppo semplice, troppo vecchio, troppo scontato.

Un’altra cosa che mi sarebbe piaciuto raccontare di questo autunno che stiamo cominciando a vivere è l’essenziale silenzio dei produttori cinematografici, quelli che avevano patteggiato con il ministro Bondi la soppressione dei finanziamenti statali ai film in cambio della riconferma del tax credit e compagnia bella. Non so, forse mi sarebbe piaciuto raccontare che in un paese civile il ministro, visto che potrebbe non mantenere il patto, avrebbe quanto meno minacciato le dimissioni e il presidente dei produttori forse si sarebbe proprio dimesso. Niente. In questo autunno che doveva essere di fuoco a detta di tutti quelli che fanno cinema, ci si limita a preoccupati flash d’agenzia, frutto di una riunione convocata d’urgenza e aperta democraticamente a tutti i produttori, anche quelli che il tax credit al massimo lo possono applicare al cortometraggio girato con la telecamera comprata al supermercato.

Sarebbe stato bello trovare, stamattina correndo, delle parole per omaggiare il caso cinematografico di questo inizio d’autunno, Benvenuti al sud, che, nella sua onestà, da solo scuote le statistiche e ci fa credere che Virzì non spari cazzate, che la cinematografia italiana goda di ottima salute.

E poi, quanto mi sarebbe piaciuto trovare le parole giuste, correndo stamattina, per raccontare quella cena per pochi cinematografari intimi indetta da Nichi Vendola, dal nostro “rosso straccio di speranza”, tanto per usare un verso di Pasolini, suo poeta prediletto, in cui sarebbero state gettate le basi del cinema e della cultura dell’Italia di domani. Lui, Nichi, quello che scuote le masse, facendole commuovere, anche lui non pensa alla base, quella sanguigna, quella precaria, quella che sperimenta, no, lui si rifugia in un salotto e fa una cena con quelli che fanno il cinema vero, quello che incassa milioni di euro, quello che va agli Oscar, quello che patteggia con Bondi, in fondo anche lui pur sempre un poeta. E’ con loro che farà, speriamo, un’Italia migliore. E la base, rimarrà sempre una base sanguigna e precaria. Da relegare, se va bene, alla sperimentazione. Se va male, al vuoto.

E’ anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto. In quella sospensione spazio-temporale, pensieri ogni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio cervello. E’ naturale, perché nell’animo umano non può esistere il vuoto assoluto. Il nostro spirito non è abbastanza forte per concepire il nulla, e inoltre non è coerente. Insomma, i pensieri che si avvicendano nella mia mente mentre corro sono semplicemente dei derivati del nulla, tutto lì. Si formano ruotando intorno al nulla”.

Le parole giuste alla fine le ha trovate Murakami Haruki. Lui è giapponese. Fa lo scrittore e il maratoneta.

Lontano da qui.

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