Il pressappochismo che regna sovrano a volte sgomenta. E invece spesso le storie che non vengono raccontate sono le più poetiche. Martedì Genova è stata messa a ferro e fuoco, o carne e pesce come avrebbe detto Attila, fratello di Dio, di Abatantuono, da un gruppo di Serbi facinorosi irriducibili. Violenza, vandalismo, teppismo, animosità, tutto è stato detto per descrivere l’episodio. Da ogni parte s’è gridato allo scandalo e ovunque si sono levati cori di sdegno. Molti preceduti da un pooo-poppò- poppo-pooo-pooo per contestualizzarli meglio, ma comunque risoluti. E sono partite le reprimende, le prese di distanze, le polemiche, probabilmente commentate anche quelle da Marco Mazzocchi che, è stato stigmatizzato, ha cavalcato la tragedia degli scontri in diretta caricando la sua telecronaca di un un inutile pathos. Inutile pathos su cui non ci pronunciamo sperando solo che l’episodio non tolga la possibilità al giornalista, in futuro, di dare il proprio contributo al mondo del calcio solo in voce, grati del privilegio di non vedere più le montature degli occhiali dello stesso.
Il fatto è che, se di pathos si poteva parlare, certo il motivo per cui farlo è stato travisato fin da subito. Quanta delusione, quanta amara rassegnazione si scorge, magari sotto forma di lacrime, nelle paffute gote di un pargolo che non corona il suo sogno, che non riceve il regalo sperato? Quanta? Tanta, tantissima e pure di più. E la Serbia, si sa, è una nazione giovine, di recente formazione, praticamente in fasce. E quanta amarezza deve aver attraversato la parte più sognante della sua popolazione, quella tifosa appunto, quando, la settimana scorsa, la notizia dell’operazione al polso di Berlusconi ha fatto capire fin da subito che sarebbe saltato l’incontro bilaterale Italia-Serbia previsto da tempo per l’8 ottobre? Probabilmente una sofferenza indicibile i cui contorni non conoscere mai. Ci rimarrà ancora una volta solo il rammarico di non aver capito quanto, anche all’estero, ci amino e quanto poco noi ancora una volta non si sia stati in grado di apprezzarlo. E ora, pubblicità.

il Misfatto