“Sulla sicurezza non si negozia”. Parola di Gunther Oettinger. Il commissario europeo per l’Energia ha annunciato che la Commissione europea è pronta a lavorare ad una nuova legislazione per le trivellazioni petrolifere off-shore nelle acque del Vecchio continente.

Entro i primi mesi del 2011 Bruxelles presenterà infatti una serie di norme di sicurezza obbligatorie per tutte le compagnie petrolifere. Attualmente, in caso di incidente a più di 12 miglia dalla costa, non è previsto alcun obbligo di intervento e risarcimento da parte delle società petrolifere. La Commissione però ha intenzione di estendere questa responsabilità fino a 200 miglia. Inoltre, gli Stati potranno rilasciare licenze solo se le compagnie beneficiarie avranno soddisfatto tutti i requisiti di sicurezza e dimostrato di essere in grado di risarcire eventuali danni ambientali in caso di incidente. I controlli, gestiti dalle autorità nazionali, saranno valutati da esperti esterni ed indipendenti. Infine, è prevista una più stretta supervisione di Bruxelles affinché le normative UE, come la Direttiva di responsabilità ambientale, siano realmente rispettate.

Una legislazione a lungo attesa dalle associazioni ambientaliste internazionali, visto l’aumento delle trivellazioni petrolifere off-shore nelle acque europee. Anche se al momento è solo la Norvegia a trivellare in acque profonde (fino a 1300 metri), la crisi economica ha convinto anche altri paesi a rilasciare le costose licenze alle multinazionali del petrolio. Il Regno Unito ha autorizzato trivellazioni a ovest delle Isole Shetland fino a 1600 metri e vicino alle Far Oer a 1100 metri. La Romania ha dato il via libera a una concessione nel Mar Nero a 1000 metri di profondità. E poi il Mediterraneo: nelle acque libiche sono stati realizzati pozzi a 1500 metri e sono previste trivellazioni anche oltre i 2000 metri. Nel frattempo in Egitto, si è arrivati fino a 2700 metri.

Dei circa 900 impianti offshore operativi nell’UE, 486 si trovano nel Regno Unito, 181 nei Paesi Bassi, 61 in Danimarca, 2 in Germania, 2 in Irlanda, 123 in Italia, 4 in Spagna, 2 in Grecia, 7 in Romania, 1 in Bulgaria e 3 in olonia. Anche Cipro e Malta prevedono di intraprendere, a breve, attività di trivellazione.

Lo scorso 7 ottobre anche il Parlamento europeo ha votato una risoluzione non legislativa che ha chiesto misure più restrittive, ma gli è mancato il coraggio necessario nell’appoggiare una moratoria per le trivellazioni off-shore già in corso. Una possibilità ventilata dallo stesso Oettinger. Ma il potere delle lobby del petrolio è stato più forte. Nelle acque europee operano le maggiori compagnie al mondo, tra cui BP, Eni, Shell, Chevron, Statoil e Total.

Nel frattempo, nel Regno Unito infuria la polemica contro il Governo Cameron per la decisione di concedere il via libera alla Chevron a trivellare nelle acque in prossimità dell’isola di Islay, al largo della costa occidentale della Scozia. John Sauven, Direttore esecutivo di Greenpeace UK, parla di “irresponsabilità da parte dell’esecutivo per aver concesso questa licenza prima ancora che sia fatta piena chiarezza su quanto accaduto alla Deepwater Horizon nel Golfo del Messico”. Gli attivisti di Greenpeace a bordo della nave Esperanza avevano già fatto rotta per l’isola di Islay quando è arrivato l’altolà della Suprema Corte Civile di Edimburgo.

Le previsioni dicono che l’estrazione di petrolio e gas in Gran Bretagna è destinato a cadere del 25% entro il 2015 per mancanza di materia prima. “Per questo motivo le trivellazioni ad alta profondità sono indispensabili, in attesa del definitivo passaggio a fonti di energia pulite”, si è giustificato il Dipartimento Energia e Cambiamento climatico di Downing Street. Una motivazione che non ha soddisfatto Greenpeace, pronta ad andare in tribunale per evitare la concessione di altre licenze a trivellare.

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