“Perché un giovane precario non può vivere in modo autonomo?” Questa la vera domanda per Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi (Federazione autonoma bancari italiani), il sindacato bancario più rappresentativo in Italia con oltre 100mila iscritti e 98 sedi territoriali. L’occasione per discutere di precarietà nel mondo delle banche si è avuta oggi a Milano con la presentazione dell’indagine statistica, la prima di settore, “Destinazione banca: genesi, analisi, numeri e proposte sul fenomeno del precariato nel sistema del credito” a cura del Centro studi Fabi “Pietro Desiderato”, presieduto da Gianfranco Amato. Lo studio, effettuato su un campione rappresentativo di 248mila lavoratori bancari del sistema Abi e 33mila del credito cooperativo, rileva il numero di lavoratori precari (tutti coloro che hanno contratti di somministrazione, di collaborazione a progetto, di apprendistato, di inserimento, a termine) presenti nelle banche italiane al 31 dicembre 2009: solo il 29% dei lavoratori è stato assunto in banca con un contratto a tempo indeterminato. La restante percentuale si è dovuta accontentare di un contratto a termine (31%), di apprendistato (13%), di somministrazione (11%), di inserimento (9%), di stage o tirocinio (6%), di collaborazione a progetto (1%).

Nelle banche di credito cooperativo, i lavoratori precari rappresentano il 6,3% della forza lavoro complessiva, mentre nelle banche aderenti al sistema Abi, specie nei grandi gruppi, il valore non supera il 4,6%. “Questa differenza è dovuta al fatto che gli istituti di credito cooperativo assumono di più rispetto alle banche Abi – spiega Sileoni – Queste ultime ricorrono meno a nuove assunzioni perché hanno un maggior numero di lavoratori in eccesso dovuto alle continue fusioni e ristrutturazioni”.

La diffusione del precariato è maggiore in Centro Italia e al Nord: “Al Sud ci sono meno precari perché il tasso di assunzione nel Mezzogiorno è minore a causa della crisi economica”.

Tutti gli interlocutori presenti all’incontro sono concordi nel giudizio sulla legge 30 del 2003, ribattezzata legge Biagi dal nome del suo promotore, il giuslavorista ucciso dalle Nuove Br il 19 marzo 2002. “Perché una legge nata come leva straordinaria viene usata come leva ordinaria?” si chiede il professor Gianfranco Amato, presidente del centro studi Pietro Desiderato, think thank della Fabi. “Uno strumento utile come la legge 30 introdotta nel mondo del lavoro per aumentare la flessibilità è diventato un chiavistello per eliminare la stabilità – dice Amato – A un’economia instabile corrisponde un lavoro altrettanto instabile. Da una ragionevole flessibilità siamo passati a una pericolosa precarietà”.

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