Gli alpini uccisi in Afghanistan. Da sinistra: Vannozzi, Pedone, Ville e Manca

I ricordi e i pensieri affidati a Facebook, come fanno i loro coetanei e amici ovunque. Frasi di pochi caratteri che descrivono gli stati d’animo, i problemi quotidiani, la sabbia, il caldo, le connessioni a internet che saltano e impediscono di parlare con i familiari e gli amici. Un vero diario dal fronte quello lasciato da tre dei militari coinvolti nell’attentato di questa mattina. Due di loro sono morti. Il terzo è sopravvissuto.

“Se tutto va bene mangio sabbia anche domani!”, ironizzava Francesco Vannozzi il 19 agosto scorso, pochi giorni dopo l’arrivo in Afghanistan. “Ho le recchie piene di sabbia!”, scriveva nel suo ultimo messaggio del 29 agosto. Sul social network si era iscritto al gruppo di “Sinistra, ecologia e libertà” di Pisa e a tanti gruppi di tifosi dell’A.C. Pisa 1909, e nella sua pagina aveva riportato, come “citazioni”, la scritta “Si vis pacem, para bellum”, ma anche la frase di Albert Einstein “Non so con quali armi combatteremo la Terza guerra mondiale, ma nella Quarta useremo sassi e bastoni”. Vannozzi, nato il 27 marzo 1984 a Pisa, è morto assieme a Gianmarco Manca, Sebastiano Ville e Marco Pedone.

“Arrivato in terra straniera. Mi sembra di non essermene mai andato”. Questa, invece, la testimoninza lasciata il 18 agosto dal caporalmaggiore Gianmarco Manca, nato ad Alghero il 24 settembre 1978. Già, anche se aveva l’impressione di non essersene mai andato, anche se è partito per l’Afghanistan dopo un periodo nella sua calda Sardegna, il caporalmaggiore non si era ancora abituato al clima asiatico: “Fuori fa caldo, in tenda di più. Dove devo andare per trovare un po’ di fresco?”. In passato aveva condiviso una pagina di Facebook: “Una partita di calcio è più importante di un soldato morto in Afganistan! Condividi per ricordare questo eroe”. Voleva protestare contro la nazionale che non aveva manifestato cordoglio per la morte del caporale Francesco Saverio, ucciso il 23 giugno scorso. L’ultimo messaggio di Manca è del 3 settembre, quando la connessione internet non andava al meglio rovinandogli la pausa in cui voleva probabilmente scrivere qualche riga agli amici: “La connessione è uno schifo! E io mi sono rotto le balle”.

Anche il ferito, Luca Cornacchia, nato a Pescina (L’Aquila) il 18 marzo 1972, era stufo della vita in missione: “Mi sono rotto di stare qua in Afghanistan, non si capisce nulla”, aveva scritto il 3 ottobre scorso. Una pagina in cui, attraverso articoli foto e canzoni, Cornacchia racconta la vita al fronte e il contributo alla vita di tutti i giorni. Di qui, tra una video di Carmen Consoli condiviso e una canzone di Vasco Rossi, spicca la foto di un soldato che dà la mano a un bambino del posto, con lo slogan “non importa quando doniamo ma quanto amore mettiamo in quello che doniamo”.

C’è anche spazio a un messaggio di speranza, “tranquilli cuccioli vi riporto tutti a casa…”, scrive agli amici a casa parlando dei suoi commilitoni, tra i commenti di un video in cui scorrono le immagini dei soldati statunitensi che riabbracciano le proprie famiglie. E poi rivolto alla moglie, Monica, scrive, “amore sei la mia vita…”.

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