“Sono stufa di sentirmi dire: tu che te ne sei andata che fai di concreto per i giovani italiani? Per questo abbiamo lanciato il Manifesto degli Espatriati, nato dall’esperienza di due blog, Vivo altrove e La fuga dei talenti”. Claudia Cucchiarato, 31 anni, capelli corti e sguardo diretto, scandisce con energia le convinzioni della generazione a cui appartiene, quella dei trentenni che vanno a vivere e lavorare in giro per l’Europa, scappando da un paese che non sentono più loro. Il web, altro mantra di questa generazione liquida, le sta dando una popolarità forse inaspettata, ma in realtà prevedibile. Con il libro “Vivo Altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi” (Bruno Mondadori) ha dato voce alle storie di un’intera generazione. E quando, a fine settembre, dal sito di Repubblica ha lanciato un appello per chiedere ai nuovi migranti di contarsi, ha ricevuto una valanga di storie. “21.000 in una settimana, ti sembra poco? – afferma Cucchiarato. – Sul censimento il Ministero è assente. C’è da chiedersi perché. Forse si vuole passare sotto silenzio il fenomeno?”

Qualcuno il Manifesto non l’ha preso troppo bene. Barbara Palombelli per esempio, sul Foglio di mercoledì ha scritto: basta sparare su di noi – ex sessantottini al potere. Se l’Italia non è un paese per giovani la colpa è solo vostra. Perché il potere non ve lo prendete come abbiamo fatto quando era il nostro turno?
Lei è stata gentile quando ha accettato di entrare in dialogo, non tutti quelli della generazione “dei genitori” lo fanno con noi. Ma respingo l’accusa di essere vile e di non lottare. Basta leggere il punto 10 del Manifesto: “Noi giovani professionisti italiani espatriati intendiamo impegnarci, affinché l’Italia torni ad essere un “Paese per Giovani”, meritocratico, moderno, innovatore. Affinché esca dalla sua condizione terzomondista, conservatrice e ipocrita. E torni ad essere a pieno titolo un Paese europeo e occidentale. Ascoltate la nostra voce!”

Non ci siete andati leggeri. Serve una scossa?
Bisogna chiederlo ai tantissimi, cervelli in fuga o come preferisco definirli nuovi migranti, che hanno sempre il biglietto di una low-cost in tasca. Oggi a Barcellona, a Berlino o Londra domani. Un’esistenza che da “solida” diventa  “liquida”, per dirla con Zygmunt Bauman. Età media: dai 25 ai 40, moltissimi dei quali laureati. Fanno programmi alla giornata, uniscono a volte tre quattro lavori per campare. E migrano, sapendo che li aiuta un po’ l’euro, un po’ skype, che li tiene in contatto con gli amici e i familiari. Sono dei piccoli Ulisse che devono reinventarsi la mèta di volta in volta.

Allora si va via dall’Italia per piacere, non per forza?
Non è un privilegio, ma una necessità. Si lascia un Paese che sprofonda nell’immobilismo. Molti vogliono prendere una boccata d’aria allentandosi dalla famiglia, spesso opprimente, che non li lascia crescere. Oppure vogliono vivere la propria omosessualità in un ambiente in cui c’è più rispetto. Un tratto caratteristico delle storie che ho raccolto è il malessere verso la mentalità italiana. Non è un fenomeno di nicchia, che giustifichi un’alzata di spalle, ma un vero e proprio esodo. Difficile fare numeri, perché data la continua mobilità molti di questi giovani non si iscrivono all’AIRE (l’anagrafe dei residenti all’estero), a volte ne ignorano perfino l’esistenza. Ma dalle storie che ho raccolto e che mi continuano ad arrivare via internet, potrei perfino stimare, a occhio, più di 1 milione di nuovi migranti! E proprio il segno che qualcosa non va nel nostro Paese.

Eppure viene la tentazione di pensare: chi è fuori beato lui, ma perché non lascia in pace l’Italia, che in fondo continua a restare a galla…
Ma il punto non è mica tirare a campare. Se l’Italia è fuori dal mondo è un problema di tutti, non solo nostro. Il berlusconismo che ha pervaso la nostra società in tutti questi anni l’avrà pure cambiata in modo sostanziale, ma esistono tante energie che sono pronte ad attivarsi per rifondare moralmente il nostro Paese. Prima ci svegliamo e meglio è. Per l’Italia, per l’Europa. E per tutti.

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