Allarme terrorismo, si salvi chi può! Sembra questo il titolo di fondo della puntata del programma di Gianluigi Paragone, L’ultima parola, riguardante il clima d’odio che si sarebbe manifestato con il presunto (visti i personaggi coinvolti e la ricostruzione, l’aggettivo è d’obbligo) attentato a Belpietro.

Si parte con un servizio che, a partire dai fatti del 13 dicembre, con la statuetta scagliata da Tartaglia, arriva ad accomunare, senza pudore, libere contestazioni non violente a Dell’Utri e Schifani, con il fumogeno contro Bonanni e l’agguato a Belpietro. In studio, sugli schermi, due parole, scritte in maiuscolo, con calligrafia stentata, imputato e stupratore, ad affermare che la colpa del fantomatico clima d’odio è di Di Pietro, che si è permesso di pronunciare un discorso di denuncia sul presidente del Consiglio in un Parlamento di un Paese democratico: un comportamento veramente inaccettabile!

Ma la colpa non è solo di Di Pietro: Gasparri, figura d’obbligo nei talk-show, punta il dito contro “‘sti ragazzini con la telecamera che ti inseguono […] con un atteggiamento non fisicamente ma moralmente violento”. Poi parla La Torre. Non solo non appoggia il discorso di Di Pietro, ma ne mette addirittura in dubbio una futura alleanza, aggiungendo, compiaciuto del consenso che Gasparri sembra mostrargli: “Un discorso come quello che ha fatto Di Pietro non lo sentirete mai da un esponente del Partito Democratico.

E mentre Paragone mostra ai telespettatori un sondaggio (Tornerà il terrorismo? Il 58% degli italiani ne è convinto) non posso fare a meno di avvertire che questa atmosfera da terrorismo psicologico non è altro che l’ennesima rappresentazione del quarto principio della propaganda di Gobbels (“Principio dell’esagerazione e del travisamento”) nella migliore tradizione giornalistica di chi ama vestire i panni del cortigiano.

Non sono terroristiche le contestazioni a Dell’Utri e Schifani, ma lo svilimento delle ragioni e delle critiche argomentate di chi li ha contestati è terrorismo, così come la generale criminalizzazione del dissenso, bollato come odio (e invidia), è terrorismo.

Scusate allora Paragone, perché, come altri suoi colleghi, ha deciso di riaprire la caccia all’untore, al dissidente, perché ha accomunato violenza e dissenso, perché ha cavalcato la paura.

E scusate Paragone e tanti altri come lui, perché così intenti a parlare di clima d’odio e di stupratori della democrazia, si sono dimenticati di dare il giusto risalto alla notizia di altre minacce, queste, purtroppo, reali.

Una telefonata anonima al procuratore Pignatone e un bazooka, trovato davanti al tribunale di Reggio Calabria. Ma nella città calabrese non ci sono stati colpi a vuoto, inseguimenti per le scale, grilletti puntati contro l’agente di scorta, attentatori misteriosi, identikit.

E scusate anche me, per il paragone. Perché il procuratore Pignatone, e chiunque si oppone alla criminalità organizzata, non meriterebbe di essere accostato a chi da anni si occupa di killeraggio mediatico, che non è altro che intimidazione, ma senza auto bruciate o bare disegnate sulle porte.

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