Il conflitto fa bene. Il conflitto delle idee, il conflitto dei cervelli, il conflitto delle parole. Fa bene, serve. Il bianco e il nero, il maschio e la femmina, il sole e la luna: il conflitto delle diversità, e poi la congiunzione degli opposti, e poi di nuovo il conflitto. Ecco il motore del mondo. Il conflitto è vita. Fuori e dentro di sé, con noi e con gli altri. Il conflitto – ma qui si parla sempre di idee e mai di corpi, nessuna confusione – rigenera, spazza via le certezze ammuffite, smuove le paludi del pensiero. È energia. È creazione. È vita.

Tesi, antitesi e sintesi: moltiplicate all’ennesima potenza. Perché, davvero, dal conflitto nasce sempre qualcosa. Perché, davvero, il terreno del conflitto è sempre fertile, è sempre generoso. Di dubbi, di punti interrogativi, di riconferme e delusioni, di scoperte e di riconquiste. E le carte si rimescolano, e i muri vacillano.

E poi nel conflitto ci si deve difendere, si deve (e ci si deve) convincere. E per farlo bisogna riscoprirle, le proprie idee. Bisogna tirarle fuori dalla polvere, bisogna metterle alla prova del tempo, bisogna discuterle. Rafforzarle, forse. Oppure lasciarle. Perché il conflitto può anche finire così: ci si fa convincere. Si abbandona e ci si abbandona. Per rigenerarsi. Per andare avanti. E diceva bene Albert Einstein: «Il processo di una scoperta scientifica è un continuo conflitto di meraviglie».

Ecco perché il conflitto fa bene. Ecco perché vivifica la mente (e pure il cuore). Ecco perché ce ne vorrebbe di più, di conflitto. E ci vorrebbero più parole, più pensieri, più sconfitte e più vittorie.

Ma intendiamoci bene. Qui si parla di conflitto vero. Di un conflitto individuale, ideale. Qui si parla di un conflitto che non conosce padroni né interessi. Che non assume le forme insidiose di un mezzo di potere, che non è strumentale a niente e a nessuno. Qui si parla di un conflitto che non conosce reggimenti né trincee, ma solo eroi individuali, guerrieri del pensiero. Qui si parla di un conflitto che ha il sapore coraggioso della libertà. E non di uno scontro tra eserciti di marionette.

No, non ci sono burattinai, nel conflitto che ci piace, nel conflitto che fa bene. Non ci sono manovrati e manovratori, non ci sono etichette ed etichettatori, non ci sono mandati e mandanti, non ci sono capi d’azienda e loro dipendenti. C’è solo il gusto personale della sfida. C’è solo la voglia di navigare in mare aperto, di scoprire nuovi orizzonti e nuovi territori. C’è il gusto di scoprire nuovi amici e nuovi avversari. C’è la voglia di riscrivere la propria storia.

Sì, stiamo dalla parte del conflitto. Ma di un conflitto che non conosce interessi. Solo idee, solo “meraviglie”, per riprendere Einstein. E allora è bene che la politica lo riscopra, questo conflitto di idee e di meraviglie. Perché una politica vuota di idee non può che essere piena di interessi. E non può che essere asservita a quegli interessi di parte, non può che diventare arma nelle mani di chi combatte in nome del “particolare”. Ma non si tratta solo di interessi economici. Basta pensare alla propaganda leghista, alla favola della Padania, alla politica che diventa rivendicazione di una frazione, di una identità posticcia in contrapposizione con l’altro, chiunque egli sia (islamico o romano, poco importa). E quello è il conflitto malsano, lo scontro artefatto e pretestuoso, la miccia con cui eccitare gli animi e il paravento dietro cui nascondere la propria fame di potere. Non c’è nulla di meraviglioso, in quei conflitti. Non c’è energia, non c’è fame. Ci sono solo secondi, terzi e quarti fini. E le idee diventano strumenti, e non ci sono né tesi né antitesi, né tantomeno sintesi. Solo interessi. Conflitti tra interessi. Conflitti di interessi. E a noi piacciono quei fertili, magnifici, liberi conflitti di idee e di passioni. Con lo sguardo lontano. Lontano pure dal portafogli. E dalle aziende di famiglia, tanto per capirci.

da Caffeina 03/2010
di Filippo Rossi

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