A leggere certa stampa, sembrerebbe che l’identikit dell’aggressore di Maurizio Belpietro, il direttore di Libero oggetto di un agguato l’altra notte a Milano, corrisponda al profilo di Maurizio Landini, segretario della Fiom. Non c’è stato commento proveniente dal governo, dal mondo confindustriale, dalla stampa in generale che non abbia fatto il legame diretto tra un tentativo di attentato, a colpi di pistola, al direttore di un importante giornale e la vertenza in corso dei metalmeccanici italiani. Il Sole 24 Ore, in prima pagina dedica all’argomento un editoriale dal titolo “Fumogeni e pistole la strada della paura”; Repubblica fa un’intervista al senatore Ichino che dopo due domande si concentra su Pomigliano accusando la Fiom di aver esasperato impropriamente quella vertenza. Accanto ai fatti di Milano vengono puntualmente riportate le contestazioni compiute da alcuni operai, Fiom e non solo, a Bergamo e Livorno nei confronti della Cisl. Tutto in un unico minestrone il cui sapore rimanderebbe al fumo acre degli anni 70, agli attentati mortali, gli scontri, le pistole, le bombe. Un po’ troppo.

La gravità dell’agguato a Belpietro non si discute. Per quanto distanti possano essere le sue idee e il suo modo di fare giornalismo, l’idea che qualcuno possa bussare alla tua porta di notte per esploderti due colpi in faccia è agghiacciante, specialmente se la colpa è scrivere per un giornale. Su questo punto non ci piove e lascia basiti che di fronte agli attestati di solidarietà da parte di chi avversa le opinioni di Belpietro si debba poi fare penitenza, come se avversarlo significasse aver armato quello strano personaggio. E’ chiaro che si vuol fare ideologia, strumentalizzare l’accaduto, continuare a costruire uno scontro artefatto che non serve a nulla. E soffiare sul fuoco di un clima infuocato.

L’operazione è più insidiosa quando poi si cerca il legame con fatti di altro tipo: il fumogeno alla festa Pd, le uova contro la Cisl, le contestazioni a base di fischi. Tutte espressioni discutibili, contestabili ma che, con ogni evidenza, mostrano in anticipo l’indisponibilità ad atti violenti. Tutti coloro che citano a sproposito gli anni 70 non sanno nulla oppure hanno dimenticato quella stagione in cui, accanto a una mobilitazione popolare mai vista nel dopoguerra – ci fu anche e soprattutto quella, anche questo viene dimenticato – giravano servizi d’ordine e gruppi armati, oltre che terroristi, che le uova se le bevevano a colazione. Altro che tirarle. La cosa più innocua allora era una molotov e non conosciamo nessuno che a furia di tirare uova si sia stancato per sostituirle con bottiglie incendiarie.

Che tutto questo allarme, questi legami improbabili servano a demonizzare una protesta sociale, appare fin troppo chiaro. Il modo in cui si tira in ballo la Fiom lo dimostra. Ma non è un modo furioso di sostenere in confronto anche duro? Davvero, non si coglie che la sproporzione di analogie e riscontri innesca ulteriore rabbia e riduce gli spazi di discussione?

I metalmeccanici della Cgil hanno polemizzato duramente a Pomigliano contro l’accordo separato ma non risulta che da quelle parti ci siano stati episodi di violenza. Accostare un sindacato democratico all’agguato, all’eversione o alla follia è davvero improponibile.

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