Domenica 3 ottobre si vota in Brasile per il nuovo/a presidente della Repubblica e per rinnovare la Camera e il Senato. Da noi un appuntamento di rilievo mondiale è annegato nello sfondo dei palazzi monegaschi e nelle barzellette sguaiate di un presidente del Consiglio, così squilibrato da immedesimarsi – con la stessa carica di mitomania – da ammaliatore di minorenni a salvatore dell’economia mondiale dalla crisi epocale in cui è precipitata. Nel paese sudamericano i sondaggi danno per probabile la vittoria già al primo turno della candidata del PT Dilma Youssef.

Non è ancora detto, perché la storia può ripetersi e i media locali stanno sparando tutte le loro cartucce negli stessi giorni in cui Ecuador e Venezuela hanno registrato l’affondo delle destre. Esattamente come quattro anni fa quando Lula perse sul filo di lana al primo turno e il Brasile dovette aspettare altri 15 giorni prima di avere confermato un presidente operaio, sindacalista e nordestino. Un presidente che termina in questi giorni i suoi 8 anni di governo con un consenso popolare sia a livello nazionale che internazionale assolutamente sconosciuto ai suoi predecessori.

La tattica dell’opposizione, con l’aiuto decisivo di quasi tutti i giornali e delle grandi reti televisive, è ancora la stessa e ricalca da vicino quella nostrana dell’entourage berlusconiano. Si sguinzagliano detectives privati e si organizzano intercettazioni non autorizzate alla ricerca di casi di corruzione all’interno del governo. I documenti, veri o falsi, sono tenuti segreti per mesi. E poi, a pochi giorni dalle elezioni, saltano fuori e sono sparati “a raffica” nei comizi, nelle “passeatas”, negli show e, naturalmente, nella martellante propaganda dei media delle destre. Un gioco facile, dato che in pochi giorni non esiste nessuna possibilità che, vere o false, le accuse possano essere minimamente verificate. Il sospetto rimane e qualche punto in più o in meno nei sondaggi si riesce sempre a strapparlo. Il pensiero corre automaticamente ai dossieraggi di questi giorni e alle probabili elezioni italiane con Feltri, Belpietro, Fede e Minzolini in cattedra. Comunque lo scandalo della ministra di Casa Civile (che è stata costretta da Lula a dimettersi), insieme a quello fatto esplodere un mese prima circa la violazione del segreto fiscale della figlia del candidato dell’opposizione José Serra, sono stati presentati sotto il cliché “tutti colpevoli, tutti assolti” (v. gli affari offshore del Cavaliere rispetto al caso Tulliani) e hanno rimesso in discussione la vittoria di Dilma al primo turno.

A metà settembre, infatti, Dilma era al 54% dei sondaggi ma una settimana dopo gli scandali era già scesa al 51%, dando qualche speranza in più ai concorrenti, José Serra e Marina Silva (rispettivamente al 29% e 14%). È chiaro che se il trend dovesse continuare si dovrà andare al secondo turno il 31 ottobre, con quattro settimane in più di “massacro mediatico”. È con l’obiettivo di condizionare e ipotecare il post elezioni che si stanno alzando nelle ultime ore i toni dello scontro politico aggiungendo al tema della corruzione quello assai più delicato dell’“affidabilità democratica” della coppia Lula-Dilma, dato il loro passato di intransigenti oppositori dei regimi militari. E qui ritorniamo all’Italia: la riesumazione di un terrorismo che non è certo alle porte, serve solo a demonizzare il conflitto democratico e a far apparire la destra d’ordine la sola prospettiva plausibile. Naturalmente in questo scontro giornali e tv, tutti visceralmente contrari a un nuovo “Lula in gonnella”, dichiarano di fare solo informazione e di essere super partes. Ma la verità è che in Brasile sono i media la vera e potente voce dell’opposizione politica e sociale, che cancella e rimuove – come nell’Italia in crisi – i problemi della gente comune.

Fortunatamente, la società brasiliana non è più quella di 10-20-40 anni fa. Si sono affrancati i lavoratori, gli indigeni, gli emarginati delle periferie e delle zone povere, i contadini che lottano per la riforma agraria e che hanno, tutti, trovato nuovi canali di partecipazione. Lula ha aperto una breccia nella grande muraglia del conservatorismo economico, politico e sociale brasiliano e la conferma di Dilma, contrastata dalla grancassa dei media conservatori, confermerebbe il nuovo corso di tutto un continente.
E se ci provassimo anche da noi, scuotendoci da un torpore e da una rassegnazione insopportabile per un paese democratico e, da appuntamenti importanti come l’odierno no-B day, la manifestazione della FIOM, le mobilitazioni per l’acqua, la scuola e contro il nucleare, preparassimo primarie di partecipazione e di svolta con candidati come Vendola, non coltivati nei palazzi?

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