di Marcello Ravveduto

Zuccherino
. Cosa pensate leggendo questo nome. A me viene in mente il film Febbre da cavallo e la manie per le scommesse ippiche. Invece no, è il nome d’arte di un giovane neomelodico dell’hinterland campano, Alfonso Manzella. Poco più che ventenne si è già distinto nel panorama musicale di genere con canzoni come ‘O Pentito e Nu male guaglione. Nella prima inveiva contro il collaboratore di giustizia che aveva fatto arrestare il fratello maggiore, boss della camorra, giurando vendetta; nella seconda dopo aver comunicato alla madre di un amico l’arresto del figlio cerca di giustificare, con il solito orgoglio dei marginali, la vita dei giovani delinquenti, destinati ad ingrossare l’esercito criminale. Il “neorealismo” delle sue interpretazioni è assoluto: nel febbraio 2008 viene arrestato a Salerno dagli agenti della squadra mobile mentre stazionava nei pressi di una banca a bordo di una motocicletta in compagnia di un minorenne con una pistola, calibro 7,65 e matricola abrasa, e dei passamontagna. Secondo l’accusa stavano per compiere una rapina. Zuccherino si difende: gli “attrezzi” servivano per inscenare il video di una nuova canzone. Fatto sta che finisce agli arresti domiciliari. Grazie all’istanza di revisione la tentata rapina viene derubricata in possesso illegale d’arma da fuoco e, con il rito abbreviato davanti al Gup, ottiene una condanna ad un anno e otto mesi e la scarcerazione perché incensurato. La storia inevitabilmente diventa una canzone dal titolo Protagonista, in cui afferma decisamente di essere stato vittima di un errore giudiziario.

Dopo questo brutto episodio qualcuno ha ipotizzato che si sarebbe riscattato cantando solo storie di amori e di tradimenti. In parte è stato così: ha ripreso a gorgheggiare sentimenti contrastati ma in contesti criminali. È più forte di lui. Non riesce ad immaginare una “normalità” senza la presenza incombente della camorra. L’onore, secondo Zuccherino, discende dall’esercizio della violenza. Sarà che è nato e cresciuto in una città, Pagani, al confine tra Napoli e Salerno, epicentro, negli anni ’80, della guerra tra Nuova camorra organizzata e Nuova famiglia. Uno di quei luoghi in cui non bastano le due mani per contare i morti ammazzati e tra questi alcune vittime innocenti: un sindacalista della Cgil, Antonio Esposito Ferraioli (agosto 1978), il sindaco democristiano, Marcello Torre (dicembre 1980), il comandante della stazione dei Carabinieri, Marco Pittoni (giugno 2008). Sarà che, come tanti ragazzi della sua età, ha mitizzato Cutolo e la sua resistenza al 41 bis senza pentimenti. Sarà che quotidianamente frequenta – non è difficile in città del genere – persone che delinquono. Insomma, sarà quel che sarà – per citare una canzone – Zuccherino non si è smentito. In Comme se fa veste i panni di un boss di camorra tradito dalla convivente. Il video mostra un capo rispettato a cui gli affiliati baciano la mano dopo aver ricevuto la pistola con cui andare a compiere la prossima esecuzione. Ma è proprio tra questi uomini che si insinua l’infame. La conseguenza logica dell’ambiente criminale prevede la morte.

Procediamo con ordine. Zuccherino torna a casa. La compagna gli apre la porta. Parte la canzone: “… proprio tu mi dovevi tradire/un ragazzo di strada/rispettato come me/ dalla sua innamorata si è fatto vendere/”. La ragazza ha congiurato con uno dei suoi migliori uomini per eliminarlo: “come si fa/ ti ho dato il mio cuore nelle mani/ e per un compromesso mi vendevi/ a chi ha fatto fuoco ieri contro di me”. Il filmato intanto mostra il boss e l’affiliato che si salutano, mentre il primo si gira di spalle, il secondo estrae la pistola (vuole colpirlo alla schiena, tipica infamia del traditore). Ma il capo è sempre il capo: si accorge del tranello e si gira di scatto. Blocca con la sinistra l’arma del nemico e reagisce sparando all’addome. L’uomo (piuttosto un ragazzino) si accascia con una visibile macchia di sangue che copre la maglietta. Il boss lo costringe a confessare. Scopre, così, la terribile verità: la sua compagna è la mandante del delitto. È davvero finita, dopo averlo fatto parlare gli dà il colpo di grazia. Ora i due ex innamorati sono l’uno di fronte all’altra: “non ce l’hai fatta/ prima di morire mi ha detto la verità/ che gli dicevi tutte le mie cose/… vergognati!/… io non ti ammazzo/ non mio sporco le mani con chi è senza cuore/ ma te ne caccio perché non sei degna di stare con me”. La donna del boss sa che può lasciarlo solo dopo la morte. Ed allora, spietatamente, progetta l’esecuzione. Il capo, invece, si mostra magnanimo. Uccide l’altro perché ha tentato di farlo fuori, ma in nome dell’amore che c’è stato le salva la vita, perché lui, il boss, è un vero uomo – non conta che a sua volta sia il mandante e l’esecutore di decine di delitti – non si sporca le mani “con chi è senza cuore”. Zuccherino dopo la disavventura giudiziaria è tornato a cantare l’amore, un amore criminale, un amore primitivo, tragico; ovvero quando eros fa rima con thanatos.

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