Alla Versiliana, dove due settimane fa il Fatto ha festeggiato lo straordinario successo del suo primo anno, ho sentito molte invettive contro Berlusconi, ma quasi altrettante contro la Lega. Secondo me è un errore. Quello che dovrebbero fare le opposizioni è cercare di inserire un cuneo fra Lega e Pdl. Ed è possibile. La Lega non è necessariamente di destra. In quanto movimento localista, almeno concettualmente, non è né di destra né di sinistra. Quando Bossi sognava ancora la “Padania libera” e organizzò le elezioni nei gazebo fece mettere in lizza anche un “Partito comunista padano“, a significare che, una volta liberatasi del giogo di Roma, tutti i partiti avrebbero avuto diritto di cittadinanza. E una sera che, davanti alla classica pizza, ero a cena con lui, ancora sano, oltre che affettivo e simpatico come sempre, gli chiesi: “Dimmi la verità, Umberto, pistola alla tempia, tu sei più di destra o di sinistra?”. “Di sinistra” rispose “ma se lo scrivi ti faccio un culo così”.

Umberto Bossi è l’unico, vero, uomo politico comparso sulla scena italiana negli ultimi vent’anni. E, come tale, è un pragmatico. Ha, da sempre, un obiettivo, il federalismo, e per raggiungerlo è disposto ad allearsi con chiunque. Certo sarebbe stato meglio se il federalismo si fosse realizzato nella forma, ipotizzata dalla Lega delle origini, delle tre “macroregioni“, senza per questo mettere in dubbio l’unità nazionale, perché è un fatto che Nord, Centro e Sud del Paese sono, economicamente, socialmente, culturalmente, climaticamente, realtà diverse e dovrebbero potersi sviluppare secondo le proprie vocazioni. E una “macroregione” è sufficientemente ampia per poter fare programmi di ampio respiro, ma anche sufficientemente coesa per dare risposta ai bisogni identitari. Mentre un federalismo spalmato su 20 regioni è molto meno convincente. Ma tant’è, pur di liberarci di Berlusconi, vale la pena di dare a Bossi questo federalismo intisichito e forse dispendioso. E il momento è favorevole.

Il Cavaliere, tutto teso a risolvere ex lege i suoi “problemi giudiziari”, non è in grado di realizzare il federalismo di cui, peraltro, non gli frega niente. Bossi lo sa ed è per questo, per rimescolare le carte, che vuole andare alle elezioni. Inoltre si profila nel Meridione la nascita di un forte movimento autonomista, che è una spina nel fianco del cesarismo berlusconiano ma corrisponde al programma originario di Bossi che è sempre stato quello di isolare Roma, in quanto centro assoluto del parassitismo, del clientelismo e del malaffare come la cronaca di ogni giorno ci dice. È anche vero che negli ultimi anni la Lega ha molto accentuato i suoi atteggiamenti xenofobi. Ma anche questa è una conseguenza dell’alleanza con Berlusconi. Avendo dovuto abbandonare, a causa di quest’alleanza, alcune idee fondanti, come il no alla globalizzazione, che è, in radice, antitetica a ogni localismo, e il no, per le stesse ragioni, all’imperialismo americano (qualcuno ricorderà che quando gli Usa attaccarono la Serbia, alcuni dirigenti leghisti si recarono a Belgrado a fare gli “scudi umani“), è stata spinta, per distinguersi, a pigiare il pedale della xenofobia.

Non era così alle origini. La mitica “Padania” era “di chi ci vive e ci lavora”. Punto. Senza andargli a fare l’esame del sangue. Ma una volta staccatasi da Berlusconi potrebbe, forse, alzare il piede da quel pedale. Infine la Lega è l’unico partito che, in questi anni, ha migliorato i suoi quadri passando dal folklorismo degli Speroni ai Cota, ai Calderoli, mentre Bobo Maroni si sta rivelando un ottimo ministro dell’Interno. E sulla legalità, proprio per la composizione popolana del suo elettorato, non è distante dalla sinistra. È facinorosa a parole, ma molto più moderata e ragionevole nei fatti, come ha dimostrato durante il governo Dini. È un movimento che, ovviamente, può non piacere, ma col quale, a differenza dell’energumeno Berlusconi, si può dialogare in modo serio. Se fossi nei panni dell’opposizione io ci proverei invece di continuare, ottusamente, a demonizzarla.

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