Leggo che Alessandro Profumo, disarcionato dal comando di Unicredit, starebbe trattando una maxi-liquidazione, dai trenta ai cinquanta milioni di euro. E mi torna in mente questo incontro che ebbi con lui nel 2007, nei giorni della fusione con Capitalia (video).

Lui era annunciato alla presentazione di un libro in una libreria di Milano. Con un paio di amici e una telecamerina gli andammo incontro. Tra le questioni che gli posi, oltre all’alleanza con il plurindagato Geronzi e il coinvolgimento della sua banca nel mercato internazionale di armi, anche l’incredibile divaricazione fra gli stipendi dei top manager e quelli di impiegati e operai.

Fui il solito scostumato rompiballe, ma credo di aver sfiorato un punto sostanziale. E cioé: ha senso liquidare un amministratore delegato con cifre di quell’ordine di grandezza mentre, in quella stessa banca, si preparano esuberi di più di mille dipendenti? E più in generale: ha ancora senso un sistema economico che arricchisce sempre di più una ristretta oligarchia, mentre impoverisce e sfrutta larghe moltitudini? Lui rispose a monosillabi, con malcelato fastidio, protetto da una serie di addetti alla persona. Poi intimò a me e ai miei amici di spegnere la telecamerina. Solo la nostra. Le altre non lo infastidivano e dunque potevano rimanere accese. Al nostro rifiuto, se ne andò via dal convegno, rinunciando al suo intervento.

Leggo pure che qualcuno inizia a fare il nome di Alessandro Profumo come leader di una ipotetica coalizione elettorale di centrosinistra. Confido che il manager, se davvero deciderà di entrare in politica, saprà mettere al centro di una seria riflessione e di un’adeguata proposta il tema che, in modo forse irrispettoso, gli sottoposi in quella libreria, senza più offendersi e scappare, come si conviene a un vero leader, di fronte a domande e telecamere non gradite.

Articolo Precedente

Cinque domande al compagno Profumo

next
Articolo Successivo

Dal disastro al business. Così le banche si preparano a guadagnare dal crack Madoff

next