A prima vista sembra soltanto una delle tante economie in crisi. Un sistema Paese in difficoltà mimetizzato in un ambiente economico continentale fatto di recessione e stretta creditizia. E invece, triste ma vero, il suo caso sembra essere più unico che raro. Smaltita la sbornia dell’illusione da crescita e schiacciata dal peso di una bolla immobiliare irrisolta, la Spagna sta diventando ciò che i più pessimisti avevano prefigurato in principio: la più pericolosa spina nel fianco dell’area euro. Potenza delle cifre, naturalmente.

I dati sono stati rilanciati prepotentemente in questi giorni e il quadro che ne è emerso è risultato a dir poco inquietante. Entro i confini spagnoli, ha ricordato Il Wall Street Journal, ci sono un milione e mezzo di case fantasma. Edifici invenduti, abbandonati o addirittura mai finiti, figli legittimi della più colossale bolla immobiliare del Continente. Sono il monumento più recente alla grande illusione della crescita inarrestabile ma anche la manifestazione visibile di un tracollo che rischia di essere – ed è questo l’aspetto più mostruoso – soltanto il preludio ad un disastro più grande. Nel mirino degli osservatori è finita la valuta unica europea, quell’euro che a milioni di esemplari defluisce dalla Bce per approdare nelle disastrate casse delle banche spagnole. Soltanto l’istituto centrale europeo, sostengono alcuni analisti, può tenere in vita quell’enorme rete di banche locali già sommerse dai titoli tossici. Ma la situazione non può durare all’infinito e a farne le spese, al momento della verità, dovrebbe essere proprio l’euro, vittima designata degli speculatori al ribasso. E’ già successo all’alba della crisi greca. Dovrebbe accadere, a maggior ragione, in caso di collasso generale nella quarta economia di Eurolandia.

Molte banche spagnole hanno passato gli stress test più recenti ma questo non sembra importare granché. L’attendibilità di questi esami virtuali, infatti, è da tempo messa in dubbio e il caso spagnolo non sembra fare eccezione, anzi. In Spagna i prestiti insolventi o che rischiano di diventare tali (le cosiddette sofferenze bancarie) rappresentavano da tre anni meno dell’1% del totale. Oggi l’incidenza è salita al 5,4% a causa soprattutto del disastro mutui. Secondo Business Insider, il 37% dei crediti concessi dalle banche al settore immobiliare e al comparto costruzioni risulterebbe “problematico”. Il valore totale di questi prestiti si aggirerebbe sui 165 miliardi di euro.

Per le banche si tratta di un peso probabilmente insostenibile, ma i guai non si esauriscono qui. Resta forte, infatti, la convinzione che i conti presentati dagli istituti abbiano smesso da tempo di riflettere la realtà. Le banche, in altre parole, avrebbero contabilizzato i loro assets immobiliari attribuendo a questi ultimi un valore nominale che appartiene ormai al passato a fronte di un prezzo di mercato decisamente più basso. Gli immobili registrati nei libri contabili, si dice, potrebbero essere sopravvalutati del 40%. La strategia è più che evidente: si abbelliscono il più possibile i bilanci in attesa che il mercato si riprenda e si adegui alle valutazioni più ottimistiche. In caso di ripresa il meccanismo potrebbe anche funzionare. Ma siamo sicuri che quest’ultima sia davvero alle porte?

Affinché una crisi come questa possa essere superata occorre che domanda e offerta ritrovino un equilibrio accettabile. Un traguardo che al momento appare lontano. Sul mercato ci sono oltre un milioni di proprietà in vendita a fronte di una domanda decisamente più ridotta. Per rivitalizzare quest’ultima servirebbe un agognato aumento del potere d’acquisto ma la stretta creditizia e il micidiale tasso di disoccupazione (superiore al 20%) contribuiscono a schiacciare verso il basso la domanda. Per assistere a un’inversione di tendenza dovrebbero essere necessari diversi anni. Le banche, tuttavia, potrebbero non avere tutto questo tempo.

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