Il 2 settembre del 2008 Ngom Ravane, clandestino del Senegal, viene picchiato con una mazza da baseball nel centro di Milano. A compiere la violenza è un italiano. Anziché tacere, Ngom decide di collaborare con la giustizia. Un caso delicato, quello di Ngom, che porta il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, a interessarsi della vicenda. E il Questore di Milano a rilasciare un permesso di soggiorno il 15 settembre scorso.

“Via sporco negro, vaffanculo sei venuto a rompere i coglioni alla gente”, gli urla un commerciante italiano del mercato rionale di Porta Vittoria. Lo offende. Ngom non risponde. Il fruttivendolo prende una mazza da baseball dal furgone e in pieno giorno comincia a picchiarlo. Alfredo Zampogna, avvocato, quella mattina vede con i suoi occhi l’inaudita violenza. Il 7 settembre del 2008, cinque giorni dopo l’aggressione, Zampogna comunica all’ufficio d’immigrazione l’assunzione della difesa per il caso del senegalese. Così la motiva: “Occorre reagire a questo clima d’odio e violenza spesso scatenato da irresponsabili atteggiamenti di certa classe politica che determina nelle frange più povere della popolazione reazioni violente di stampo chiaramente razzista”.

Quel clima d’odio di cui parla l’avvocato attraversa Milano nel 2008, con l’autunno oramai alle porte. Il 14 settembre, 12 giorni dopo l’aggressione di Ngom, Abdul William Guibre, 19 anni, italiano, originario del Burkina, viene ucciso a sprangate. Anche in questo caso sono un padre e un figlio, entrambi italiani, proprietari di un bar, a compiere la violenza. Abba aveva rubato dei biscotti. Le comunità straniere scendono in piazza a protestare. In quei giorni di tensione il clandestino decide di denunciare. Si costituisce parte civile al processo. Due anni durante i quali, per non essere espulso, dovrà richiedere un permesso di soggiorno temporaneo (di tre mesi in tre mesi) per “gravi motivi di giustizia”.

Il processo, affidato al sostituto procurato Ilda Boccassini, si conclude il 7 giugno scorso. Il colpevole viene condannato a due anni di carcere, e a risarcire la vittima con 13.000 euro. Viene riconosciuta anche l’aggravante per aver commesso il fatto con “finalità di discriminazione razziale”. Un caso di giustizia, concluso grazie alla collaborazione del senegalese. Ma per la legge Bossi–Fini, Ngome, terminato il processo, dovrà essere espulso. Così l’avvocato Zampogna decide di scrivere al Capo dello Stato.

Una lettera in cui lo stesso Ngom spiega i paradossi della legge sull’immigrazione: “Durante i due anni del processo mi è permesso di restare in Italia, ma con l’espresso divieto di lavorare. Perché la legislazione vigente non contempla la possibilità per me, cittadino extracomunitario, rimasto vittima di molteplici reati, anche di stampo razzista, commessi da un italiano, di ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari”. L’avvocato Zampogna spiega il perché: “Secondo il testo attuale sull’immigrazione, il permesso di soggiorno per motivi umanitari viene concesso solo in alcuni casi. Il più comune è quello del rifugiato politico. Vale a dire di chi dimostra di essere stato perseguitato, per motivi politici, nel paese di provenienza. Altro caso comune è quello di una prostituta, ridotta in stato di schiavitù da organizzazioni criminali internazionali, che collabori con l’autorità giudiziaria italiana. Ma non nel caso di Ngom”.

Alla fine però Giorgio Napolitano, vista la gravità dei reati subiti da Ngom, decide di premiare il coraggio dell’ormai ex straniero. Segnala il caso al ministero degli Interni. Infine, il 15 settembre scorso, la consegna del permesso di soggiorno definitivo da parte del Questore di Milano.

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