L’Iran degli ayatollah gioca con la clessidra sull’esecuzione di Sakineh Mohammadi Ashtiani, l’adultera condannata alla lapidazione. Una sentenza che, fissata per venerdì, ultimo giorno di Ramadan, è stata sospesa poco fa e nei giorni scorsi ha mobilitato istituzioni ed esponenti politici, dalla Commissione europea di Josè Manuel Barroso fino a Giorgio Napolitano.

Ma dietro l’immagine della donna fedifraga, il presidente Ahmadinejad gioca con le vite di altri prigionieri e il focus internazionale sui diritti civili e su Sakineh potrebbe essere semplicemente un’arma a doppio taglio, funzionale al regime per reprimere gli oppositori politici nel silenzio. Un interesse a intermittenza quello dell’Occidente, che si occupa di Iran quando si accendono i riflettori del nucleare e che già si è dimenticato dell’Onda verde, il movimento di donne e giovani che a latere delle presidenziali del 2009 aveva occupato le piazze di Teheran. Sui quotidiani pare che sia solo un retaggio del passato, un tassello cristallizzato di una spinta rivoluzionaria ormai sopita.

Ma non è così. “I media sono interessati soltanto ai negoziati sul nucleare e, quando subiscono una battuta d’arresto, dedicano un po’ di attenzione ai diritti umani e, in questo caso, a Sakineh. Ma da un anno hanno offuscato l’Onda”, spiega Mostafa Khosravi di Advar Tahkim Vahdat, associazione vicina al movimento studentesco. Arrestato nel 2006 per la sua attività politica e detenuto per 45 giorni nel carcere di Evin, Mostafa ha deciso di espatriare in Italia l’anno scorso, per sfuggire all’ interrogatorio del ministero dell’Intelligence iraniano. “Il movimento verde esiste ancora e ruota intorno ai leader riformisti Kharoubi e Mousavi. Negli ultimi quindici mesi la repressione è aumentata. Un buon segno, significa che il governo non vive sonni tranquilli. Le forze armate sono in strada, hanno paura di noi. Ma l’Occidente non ci ascolta”. Come è possibile, non si fa altro che parlare di Sakineh e di violazione dei diritti civili. “Il movimento ha sempre ribadito che le sanzioni internazionali sono il cappio al collo per la realizzazione della nostra democrazia e autorizzano Ahmadinejad a esercitare pressioni sulla popolazione”. Ma l’impronta rivoluzionaria dove è finita? “Questa è un’etichetta che ci è stata appiccicata. L’Onda è moderata, guidata dai leader riformisti, non da estremisti”.

E Internet è ancora il luogo della strategia e dello scambio per i membri del movimento in Iran e all’estero. “L’anno scorso, dopo le elezioni, ho collaborato col blogger Saeed Valadbaygi, quando il Web era stato bloccato e i reporters cacciati”, spiega Neguin Bank, attivista iraniana trasferita a Roma. “Oggi il movimento si muove attraverso la pagina Facebook di Mirhossein Mousavi, sui siti che denunciano le violazioni dei diritti umani (Rahana, Iran Human Rights, Enduring America) o altri di informazione (Saham News, Kaleme, Rahesabz , Advarnews). E il movimento si è mobilitato anche per Sakineh in tutto il mondo, ma oltre al suo caso c’è dell’altro”. Cioè? “Ad esempio Shiva Nazar Ahari, la blogger di 26 anni, che insieme all’avvocato Nasrin Sotoudeh, già difensore del premio Nobel Shirin Ebadi, si batteva contro la discriminazione delle donne. Oggi, dopo nove mesi di carcere, è sotto processo. Concentrando l’attenzione solo su Sakineh, il regime vuole occultare i sedici giorni dello sciopero della fame dei nostri prigionieri politici, o forse inaugurare una nuova fase di repressione dell’Onda verde e contro i leader riformisti. Le case di Mehdi Kharoubi e dell’ayatollah riformista Dastgheib negli ultimi giorni sono state devastate da uomini in borghese. E questo è solo un avvertimento”.

Per il regime, quindi, è più semplice lasciare filtrare il caso Sakineh rispetto ai condannati politici “accusati di complotto con l’Occidente”. Come Shiva, ad esempio. “E parlare di quel caso farebbe tornare alla ribalta il movimento verde che Ahmadinejad vuole reprimere”.

A confermare l’attività dell’Onda è S.F., donna di Teheran di 27 anni, anonima perché ancora nel mirino dei pasdaran. “Continuiamo a crescere, grazie all’informazione, a Internet, alla consapevolezza. La nostra resistenza prosegue così come i controlli del governo. Gli attivisti Ali Jamali e Ali Malihi di Advar Tahkim Vahdat sono stati arrestati e il fascicolo delle presidenziali non è stato ancora chiuso”.

Ma gli iraniani sono disposti a scendere in piazza oggi? “Fiaccati dalle morti e dalle aggressioni dell’anno scorso, se scendessero oggi a manifestare rischierebbero la vita. Prevalgono amarezza e impotenza, siamo intercettati e spiati di continuo”. E sul caso Sakineh? “Di lei, come di Shiva o di Carla Bruni ‘prostituta’ non abbiamo sentito parlare tanto. I giornali sono censurati. Chi si informa lo fa in Rete”. Ma l’attenzione occidentale su Sakineh, oltre a essere la punta dell’iceberg, potrebbe essere l’esca di Ahmadinejad per occultare altre violenze. “Non vogliamo che su di lei cali il silenzio”, puntualizza Neguin. “Ma invitiamo a denunciare tutto il resto. Dalle esecuzioni di massa del mese di agosto, passando per le 14 sentenze di lapidazione emesse e le 7 già eseguite, fino ai 5 prigionieri politici impiccati dei 5000 arrestati nel 2009 perché oppositori del regime. Chiediamo che l’Occidente ripensi alle sanzioni che ci soffocano, al business sulle nuove tecnologie messo a punto da Siemens e Nokia per favorire lo spionaggio del regime sui civili e alla Cina che addestra il cyber army di Ahmadinejad”. Intanto, per ora, la sentenza è sospesa.

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