Tra 1000 polemiche e molte illegittimità (come ha affermato anche il Tar del Lazio) a marzo si sono chiuse le iscrizioni alla scuola superiore, attraversata dalla “riforma epocale” Gelmini-Tremonti-Brunetta. Come è noto, per “semplificare” sono state annullate da quest’anno tutte le sperimentazioni. Operazione che ha contribuito a sostanziare il taglio di 8mld ai danni della scuola pubblica.

Le scelte che gli italiani hanno compiuto nell’iscrivere i propri figli non sembrano casuali. I relativi dati pubblicati dal ministero ci raccontano un ulteriore incremento di iscrizioni al liceo scientifico, che continuano a crescere anche rispetto allo scorso anno. Sembrano aver riscosso successo i “rilanci” della Gelmini su alcune ex sperimentazioni divenute ordinamentali, come il liceo linguistico, che ha riscosso grande successo. Non troppo bene il liceo delle scienze sociali (ex socio-psico-pedagogico), meglio l’artistico (che da quest’anno assorbirà gli istituti d’arte).  Rimane un’incognita il tanto celebrato coreutico-musicale: ne sono stati attivati solo 38 in tutta Italia (meno di 2 a regione) e i ragazzi hanno dovuto contendersi i posti.

La vera notizia è il calo drastico del liceo classico, che conferma – amplificandolo  – un trend negativo iniziato da tempo. Lo scorso anno il 10% dei “primini” si è iscritta al ginnasio, il 22% allo scientifico. Quest’anno al ginnasio il 7%, quasi il 23% allo scientifico. Che viene preferito nella sua forma “light”,  privo di latino, ma con informatica e scienze potenziate. La dismissione, dunque, della cultura classica a vantaggio di quella tecnico-scientifica? Potrebbe essere una risposta, nel Paese delle Humanae Litterae. Una tendenza preoccupante, da una parte, che dall’altra, però, dovrebbe far riflettere sulla validità dell’atteggiamento conservativo che ha caratterizzato la storia del liceo classico, probabilmente incapace di conformarsi alle esigenze e alle pressioni culturali che connotano il nostro tempo. E che manteneva vitalità anche soprattutto grazie alle significative sperimentazioni che ha accolto negli ultimi 20 anni. Certamente, però, non è estranea alla scelta dei quattordicenni italiani una valutazione delle famiglie rispetto alla spendibilità del titolo di studio acquisito in una prospettiva “universitaria” e lavorativa. In questo senso, con la disoccupazione all’8% e con il 26,8% degli under 25 italiani (che significa un giovane su 4) che non ha lavoro, la scelta dell’ambito tecnico-scientifico appare fortemente indirizzata verso il settore più promettente (o meno depresso) dal punto di vista delle potenzialità occupazionali.

Altro capitolo quello dell’istruzione tecnica e professionale: approdo naturale, specie la seconda, dei ragazzi con svantaggi socio-economici-culturali, dei migranti, dei diversamente abili. In un Paese che investisse nel futuro e che fosse esente da forme di grave miopia socio-politica, sarebbe stato proprio quel segmento della superiore a dover essere potenziato e incoraggiato verso l’emancipazione dal ruolo di “ghetto” che spesso ha assunto. E invece su di loro l’operazione di disinvestimento e impoverimento è stata molto più violenta, con preciso disegno socio-culturale. I ragazzi sono stati chiamati ad iscriversi in questi segmenti della superiore a nuovi ordinamenti privi di quadri orario stabiliti, che si sarebbero definiti attraverso decreti interministeriali. L’unica certezza era che le ore sarebbero state tagliate; e tagliate non solo per le classi iniziali, ma anche per quelle intermedie, cambiando le regole durante il gioco. È di pochi giorni fa la notizia che il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione ha espresso parere negativo su quei decreti poiché essi “negano il diritto soggettivo degli studenti a vedere confermato il patto formativo “sottoscritto” all’atto dell’iscrizione; inficiano “l’identità culturale sia dell’istruzione tecnica che di quella professionale”; vanno oltre quanto previsto dalla norma di riferimento ossia l’art. 64 comma 3 della legge 133/08”.

Ma le iscrizioni avevano già decretato il fallimento dell’operazione: -2,3% dei ragazzi al primo anno dei tecnici; -0.9% al professionale. Aumento dei liceali, dunque. Il che crea due possibilità: o l’incremento della cultura tra i giovani italiani; o la crescita della dispersione scolastica. Considerando che in quei licei troveranno meno insegnanti, classi più numerose e di conseguenza minore spazio per la relazione educativa, è molto più probabile che l’esito sia il secondo.

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