Ieri sera, all’indomani delle polemiche sul nuovo passaporto libico con l’ologramma della stretta di mano tra Berlusconi e Gheddafi e sulle lezioni di islamismo alle hostess pagate dal governo italiano, si è riunito il cda della ribattezzata “Gheddasconi Spa”, premiata ditta italo-libica che gioca a fare affari con i soldi pubblici (quindi soldi dei precari, dei disoccupati e di tutti coloro che tra un sacrificio e l’altro pagano regolarmente le tasse e subiscono gli effetti di una gravissima crisi economica).

Si è festeggiato il secondo anniversario della firma dell’accordo Italia-Libia (ma sarebbe più corretto dire, appunto, Berlusconi-Gheddafi). Il concetto, sostanzialmente, è questo: il 30 agosto 2008 è stato stipulato un trattato bilaterale di “amicizia”, a dir poco discutibile a causa del palese baratto di gas e petrolio con gli immigrati clandestini, che l’Italia ora respinge verso la Libia non rispettando il diritto d’asilo e violando tutte le norme nazionali ed internazionali in materia. I migranti che arrivano (o arrivavano?) in Italia attraverso gli sbarchi a Lampedusa sono solo una minoranza rispetto al flusso migratorio che arriva dall’est-Europa con altri mezzi, ma questo flusso secondario ha un grande impatto mediatico, per cui è su questo che il tele-governo italiano deve concentrare le proprie energie.

E così si è brindato in onore alla violazione dei diritti umani e agli affari di Berlusconi e dei grandi gruppi industriali a scapito dei cittadini italiani, vittime di un vergognoso sopruso del quale, con molta probabilità, non sono pienamente consapevoli. Gheddafi è giunto a Roma con la sua scorta personale tutta al femminile, composta da due amazzoni, e con trenta cavalli e altrettanti cavalieri, che si sono cimentati in un’esibizione. Nel frattempo gli ottocento invitati alla cena offerta dalla Presidenza del Consiglio avranno cominciato a prendere posto.

In Italia dire la verità pare proibito, ed in tutta questa storia c’è un’unica e incontestabile verità: pecunia non olet!

FrattiniMaroni, venditori di fumo sui dati riferiti all’immigrazione clandestina, non spiegano che la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra, e che quindi l’Italia non avrebbe mai dovuto, né potuto, concludere un accordo di cooperazione: di nessun tipo. L’Italia, invece, ha garantito 5 miliardi di dollari (soldi pubblici, ripeto!!!) in 20 anni alla Libia, per la costruzione di infrastutture. La dipendenza che il governo ha prodotto nei confronti della Libia è talmente ampia che qualsiasi protesta da parte dei ‘nostri’ sulla violazione dei diritti umani susciterebbe una ritorsione spropositata da parte di Gheddafi, che bloccherebbe subito i rifornimenti di gas e petrolio. Gheddafi potrebbe lasciare l’Italia ‘a piedi’, facendo crollare i titoli azionari dei più importanti gruppi finanziari italiani. Questi sono i veri risultati della politica italiana sull’immigrazione!

Da qui, dallo scellerato Trattato, partono i grandi affari. Un’altra cricca, l’ennesima, su energia, banche, appalti miliardari. Un incredibile e mirabolante giro di operazioni (farebbe rabbrividire anche Rockerduck e Paperon de’ Paperoni) che ha già fatto muovere circa 40 miliardi di euro e che rischia seriamente di rivoluzionare gli equilibri della finanza e dell’industria italiane. Possiamo immaginare, con grande rammarico, in quale direzione. L’Italia diventerà, se non lo è già, una colonia libica.

In due anni Gheddafi è diventato il più grande azionista di una delle più grandi banche italiane, Unicredit, con una quota che si aggira intorno al 7%, e grazie al 7,5% che controlla nella società calcistica Juventus è uno dei più forti investitori di Piazza Affari. Le finanziarie di Tripoli puntano però anche a Terna, Finmeccanica, Impregilo e Generali. E non è tutto. Un aspetto che bisogna tenere bene a mente e dal quale l’attenzione non dovrebbe mai essere distolta, è l’affare Fininvest-Lafitrade, che ovviamente dovrebbe far riaffiorare il dibattito sul conflitto di interessi. Le cose pare siano andate così: una società libica chiamata Lafitrade ha acquisito il 10% della Quinta Comunication, di Tarak Ben Ammar, imprenditore franco-tunisino tra i principali promotori dell’asse Italia-Libia; quello che, non si capisce come ma si capisce il perchè, accompagnò Berlusconi a limare gli ultimi aspetti del Trattato (ma il Ministro degli Esteri non è Franco Frattini?!). Ciò che sappiamo è che cariche e affari gli hanno riservato un posto nel cda di Mediobanca. La Lafitrade è controllata da Lafico, braccio d’investimenti della famiglia Gheddafi. Un altro partner di Ben Ammar nella Quinta Comunication è, con circa il 22%, una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest, società di Berlusconi. Ma non è tutto: Quinta Comunication e Mediaset controllano ciascuna il 25% di una tv satellitare araba, la Nessma Tv, che guarda caso opera anche in Libia.

Tutti i grandi gruppi italiani, a partire dall’Eni, proseguendo con Fiat, Impregilo, Telecom e Finmeccanica, hanno numerose ragioni per voler bene al leader libico che offre loro affari irrinunciabili, essendo obbligati però, certamente senza dover affrontare grossi sforzi, a dimenticare i suoi trascorsi da finanziatore del terrorismo e operatore nel business dell’immigrazione clandestina.

Negli ultimi due anni è fortemente cresciuto l’interscambio tra i due Paesi. Tra il gennaio e l’aprile del 2010, l’import tra Italia e Libia è balzato a 790 mila euro (contro i 710 mila dei mesi corrispondenti nello scorso anno); l’export, invece, ha raggiunto quota 3,6 milioni di euro, contro i 3,2 dell’anno scorso. Impregilo, Selex sistemi integrati e Finmeccanica hanno già siglato commesse milionarie con il governo libico. E persino l’hotel di lusso Al-Ghazala, che sorgerà nel centro di Tripoli, sarà frutto di operazioni italiane: i suoi lavori sono stati assegnati al gruppo Trevi.

La Sirti, società italiana di infrastrutture per le tlc, si sta occupando della sistemazione di settemila chilometri di cavi in fibra ottica (affare da 68 milioni di euro). Nel frattempo è attiva anche la Prysmian (settore cavi di Pirelli), che ha un contratto da 35 milioni di euro con la Libya General Post & Telecommunications Company. Ma queste cifre non competono con l’appalto da un miliardo di euro ottenuto nel 2008 da Impregilo per costruire tre centri universitari.

La partita più grossa, sulla quale si giocano gli affari dei due leader, pare essere quella legata all’ENI. La società petrolifera italiana è il perno principale delle relazioni. Come già anticipato, la Libia rappresenta per l’Italia un fondamentale esportatore di petrolio e di gas. L’Eni è il principale operatore petrolifero in Libia, con circa 550mila barili al giorno e ha recentemente siglato nuovi accordi su gas e petrolio con Tripoli, che proteggerà la posizione privilegiata della società almeno per altri 40 anni. Nel dicembre del 2008, con una prassi assai discutibile, la Presidenza del Consiglio dei Ministri annunciò a mezzo stampa che la Libia voleva usare le società finanziarie controllate dal governo per comprare il 10% dell’Eni. Le oscillazioni delle Borse, però, impedirono l’operazione. Nelle ultime settimane, invece, è circolata una voce, mai smentita, secondo cui all’Eni si starebbe discutendo di un investimento libico del 15%.

Al momento, però, Gheddafi si allena con Unicredit. Dopo aver soccorso l’istituto guidato da Profumo nell’autunno 2008 con il fallimento di Lehman Brothers, recentemente la Lybian Investment Authority, fondo governativo dotato di 50 miliardi di euro da investire, è salita dal 2 al 7% circa. Cesare Geronzi, presidente delle Generali e fidato amico di Berlusconi, dice che i libici sono gli azionisti più affidabili con i quali abbia mai avuto a che fare. E se lo dice lui che è stato coinvolto nei più grossi crac aziendali che il nostro Paese ricordi….

Finmeccanica, colosso italiano della produzione di armi, invece, tramite la controllata Selex Sistemi Integrati, ha firmato con la Libia una commessa da trecento milioni di euro che prevede la costruzione di un grande sistema di sicurezza e protezione dei confini libici. L’appalto, come previsto dal Trattato, sarà finanziato al 50% dai contribuenti italiani e al 50% dall’Unione europea.

Ieri sera, dopo il discorso di Silvio Berlusconi, che ha sottolineato i ‘vantaggi‘ del Trattato, ha preso la parola il suo collega-dittatore Gheddafi, che ha spavaldamente chiesto all’Ue ‘almeno‘ cinque miliardi di euro l’anno per ‘combattere l’immigrazione clandestina, ipotizzando l’alternativa di un’Europa ‘nera’. Non bastano più, quindi, i soldi degli italiani per commettere violenze e usare torture sugli innocenti. Anche l’Europa, a dire di Gheddafi, deve finanziare il regime libico e le violazioni dei diritti umani. Uno spettacolo indecente, che lascia a bocca aperta chiunque abbia ancora un barlume di ragione, di coscienza, di buon senso. Perfino dei fedelissimi di Berlusconi come il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi e il capogruppo del Pdl al Parlamento Europeo Mario Mauro hanno espresso dure critiche per lo “spettacolo” offerto in questi giorni dal Colonnello.

Gheddafi e Berlusconi sono pari, è evidente. Ed è questa la cosa che più preoccupa chi crede nella democrazia e nella libertà. Sono pari, si contemplano, si ammirano e si lanciano sguardi languidi che presagiscono un futuro sempre peggiore, un declino inarrestabile, una minaccia alla nostra vecchia e stanca terra d’Italia.

Per quale motivo il popolo italiano e quello europeo debbano sborsare miliardi di euro per permettere alle lobbies di continuare ad arricchirsi sulla pelle dei migranti e dei precari e disoccupati, bisognerebbe spiegarlo. Berlusconi abbia il coraggio di dire che non ha intenzione e non è in grado di governare una Repubblica democratica.

Un’ultima riflessione: quando Berlusconi deciderà di fuggire e concludere la propria carriera da latitante in nordafrica come il suo amico Craxi, troverà nella Libia il suo Paese d’adozione?

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