“Gli squadristi rossi assaltano Dell’Utri”. “L’assalto ‘democratico’ per far tacere Dell’Utri”. “Assedio a Dell’Utri, zittito a Como”. Sono tre titoli apparsi sulle prime pagine di altrettanti quotidiani a commento della contestazione a Marcello Dell’Utri, avvenuta ieri a Como. Di quali giornali? Rispettivamente Libero, Il Giornale e il Corriere della Sera. E se dei primi due non stupisce la difesa (scontata e d’ufficio) del senatore condannato in Appello per concorso esterno in associazione mafiosa, sorprende il fondo firmato da Pierluigi Battista sul quotidiano di via Solferino (leggi l’articolo). In 2352 battute il vicedirettore del Corsera non spiega che Dell’Utri è stato costretto ad abbandonare l’incontro perché un centinaio di persone gli dava del mafioso. Ma, scrive Battista, “la ‘colpa’ di Dell’Utri sarebbe quella di voler pubblicare dei diari di Mussolini”. E si chiede: “Quale sarebbe il delitto? I presunti diari del Duce stanno già suscitando molte polemiche sulla loro asserita, ma non dimostrata, autenticità”. Il problema dunque , secondo Pigi, sarebbe la volontà del cofondatore di Forza Italia di ostinarsi a considerare autentici i diari del Duce. Sulla autenticità, scrive Battista, “si può discutere, anzi si deve discutere la pretesa di Dell’Utri di accreditarne la paternità mussoliniana senza l’ausilio di perizie indipendenti, di valutazioni storiche, di esami spassionati. Ma la polemica culturale non c’entra niente con le liturgie della messa al bando decretata da un manipolo di prepotenti”. Chiaro no?

Sulle magliette dei giovani “contestatori” c’era però scritto “mafioso”. Sugli striscioni mica c’era scritto “I diari del Duce sono falsi” ma “Baciamo le mani”. E il libro che volevano consegnargli non era un trattato sul come valutare la paternità reale di un testo ma il “Dossier Mangano”, lo stalliere di Arcore, il suo “eroe”. Ammonisce Battista: “Il bavaglio è un brutto simbolo. Sempre, non a giorni alterni. Trasformare una discussione politica in un tema di ordine pubblico, poi, rappresenta un atto di intimidazione, anche se animato dalle migliori intenzioni. Nessuno può arrogarsi la facoltà di stabilire chi può parlare e chi no. Nessuno può calpestare il diritto costituzionalmente tutelato di esprimere in una manifestazione pubblica le proprie opinioni”.

Parole più che condivisibili. Ma perché non ha espresso questa ferma posizione per scagliarsi contro l’esponente del Pdl (Esusebio Dalì) che appena due settimane fa chiedeva di vietare i concerti dei Litfiba colpevoli di aver espresso a un pubblico (fra l’altro pagante) le proprie opinioni? I Litfiba finirono sulla graticola del Pdl perché attaccarono proprio Dell’Utri. Durante quel concerto sul palco il cantante Piero Pelù inscenò la morte della P2: “Partecipano al suo dolore la mafia siciliana, la ‘ndrangheta calabrese, la camorra napoletana, il vostro conterraneo Marcello Dell’Utri, e naturalmente papi-Silvio Berlusconi. La P2 è morta. Viva la P3”. E’ accaduto il 16 agosto scorso. Ma magari Battista era in vacanza. Per questo non avrà invocato il diritto d’opinione per tutti.

Conclude Battista: “Nessuno può calpestare il diritto costituzionalmente tutelato di esprimere in una manifestazione pubblica le proprie opinioni. Non dovrebbe essere difficile. Basta rispettare le regole della democrazia. Senza distinguo pretestuosi. Senza eccezioni. Eccezioni, tra l’altro, unilateralmente decise da chi è più bravo a urlare in piazza. No, la democrazia non funziona così. E spiace doverlo ricordare ai partigiani che contribuirono alla rinascita della democrazia in Italia dopo gli anni della dittatura. Così come bisogna ricordarlo a chi pensa di rafforzare la lotta alla mafia negando a Dell’Utri il diritto di dire la sua, qualunque essa sia. E se pensano di ottenere consenso con azioni corali di disturbo e di intimidazione, si sbagliano. La loro azione è pure controproducente, oltre che intollerante. Basta attenersi a una regola semplice semplice: tutti hanno lo stesso diritto di parola. Tutti, nessuno escluso. E’ davvero così difficile?”.

Se sacrosanto è il diritto di parola, per i giornalisti doveroso è (dovrebbe essere) il diritto di cronaca. Così ricordiamo che Marcello Dell’Utri è stretto collaboratore di Silvio Berlusconi dai primi anni Settanta. Socio in Publitalia, dirigente Fininvest, ideatore e cofondatore di Forza Italia. Amico dello stalliere Mangano, che ha definito un eroe, Dell’Utri è stato condannato in appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa ed ha patteggiato una pena di due anni e tre mesi per frode fiscale. Le vicende nelle quali è rimasto implicato sono numerose. Per ultima la nuova P2. Secondo i magistrati di Roma, infatti, Dell’Utri sarebbe uno dei personaggi chiave del tentativo di influenzare la decisione della Consulta in merito al pronunciamento sulla legittimità costituzionale del lodo Alfano. Operazione che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata ideata, discussa e pianificata durante una cena nella casa romana di Denis Verdini e alla quale avrebbero preso parte Dell’Utri, Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Raffaele Lombardi. Questi ultimi tre sono in carcere. Mentre i primi due sono uno deputato l’altro senatore.

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