Assistere a quello che sta succedendo agli abitanti dell’Aquila dal Canada è rivoltante. Ricordo la sera del 5 aprile 2009 (a Vancouver siamo a meno 9 ore dal fuso italiano) e ricordo le prime drammatiche immagini trasmesse in diretta da Corradino Mineo sul sito di Rai News. Tornano in mente le prime pagine dei giornali canadesi e una intervista che rilasciai ad una tv di Vancouver. La nostra comunità raccolse piùdi 100.000 dollari in meno di due mesi. Poi venne l’estate 2009 e la tragedia del terremoto divenne uno spettacolo nelle mani dei coreografi di Raiset, divisione grandi eventi. Tra le macerie si aggirava quasi ogni giorno un settantenne che affermava di voler ospitare tutti nelle sue ville, acquistava dentiere per anziane bisognose, invitava gli attendati a ritenersi in campeggio, prometteva veline in quantità industriali per le maestranze e (educatamente) chiedeva il permesso di toccare il sedere a signore trentine. I suoi dipendenti strombazzavano ogni giorno i record del “Governo del Fare”. Secondo loro una cosa del genere non era mai accaduta, quello dell’Aquila era il terremoto di maggior successo degli ultimi 150 anni e le case sarebbero state consegnate entro il 29 Settembre, giorno in cui nel lontano 1936 Iddio aveva concesso alla Patria un meraviglioso dono. Per festeggiare uno spettacolo del genere il palinsesto di tutte le Tv del sultanato italico venne rivoluzionato. Cancellati Matrix e Ballaro’, il 15 Settembre 2009 l’Italia intera osservò, tra due porte bianche in prima serata, il monologo televisivo del Sire della TV che raccontò alla nazione plaudente il miracolo appena avvenuto.

Naturalmente era quasi tutto falso. I pochi quattrini a disposizione erano stati racimolati da altri capitoli di spesa, il creativo al ministero delle finanze si era inventato una bella lotteria (come per eventi un po’ meno luttuosi come il Palio di Siena o l’Epifania) e quasi tutto era stato speso tra casette ed alberghi nel 2009. Per il 2010 le colpe sarebbero state riversate su una coppia di comunisti mangia-bambini (Cialente e Pezzopane). Finito lo spettacolo, tradite le promesse sulle tasse e, soprattutto, finiti i soldi iniziarono le proteste dei terremotati-comparse. A luglio 2010 arrivarono per loro, a Roma, anche le manganellate. Oggi alle comparse dell’Aquila non è nemmeno concesso il diritto a manifestare. Gli striscioni vengono regolarmente tirati giù dalla Digos (è successo di nuovo in occasione della Perdonanza) perché potrebbero finire in TV a rovinare la favola del terremoto-show.

Ormai siamo a 17 mesi dalla mattina del terremoto e nessuno sa cosa sarà di uno dei centri storici piu’importanti dell’Italia centrale.

Eppure, nel passato non è stato sempre così.

A pochi chilometri di distanza dall’Aquila, in una fredda mattina del 13 gennaio del 1915, ci fu un’altra tragedia.

In quella maledetta mattina la terra tremò nella città in cui sono nato, Avezzano. Un sisma terribile, settimo grado della scala Richter, 30.000 morti e città rasa al suolo con l’eccezione di una sola abitazione. Presidente del Consiglio (senza fard) era Antonio Salandra e stava preparando il Paese alla guerra. L’Italietta di Re Pippetto si rimboccò le maniche. Diede ad un ingegnere, Sebastiano Bultrini, il compito di disegnare una nuova città. Il piano regolatore della nuova Avezzano era già pronto nel luglio 1916 e venne approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici il 29 agosto 1916. In 19 mesi, con il Paese in guerra e con i favolosi mezzi dell’epoca Antonio Salandra prima e Paolo Boselli dopo erano riusciti a dare alla città di Avezzano un piano regolatore per la rinascita, un piano regolatore che fece di Avezzano una Viareggio di montagna e che la ricostruì in stile liberty. Una velocità oggi sconosciuta al Governo del Fare.

Probabilmente Berlusconi aveva la “ricostruzione”dell’Aquila in mente in quel della Maddalena quando circa un anno fa, rispondendo a Miguel Mora di El Pais spavaldamente affermava: ”Applicando l’insegnamento della mia zia Marina, le dico di essere stato e di essere di gran lunga il migliore Presidente del Consiglio che l’Italia abbia potuto avere nei suoi 150 anni di storia”. Antonio Salandra e Paolo Boselli inclusi, ovviamente.

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