Essere licenziati in tronco dopo anni di lavoro perché non si crede “nella divinità di Gesù Cristo e nella Trinità?” Adesso si può. Con una sentenza della Corte d’Appello, la World Vision, associazione umanitaria cristiana, ha visto riconosciuto il proprio diritto ad assumere e, soprattutto, licenziare i propri impiegati in base ai loro culti. La decisione della Corte arriva dopo che, nel 2006, l’associazione aveva licenziato tre collaboratori, Silvia Spencer, Ted Youngberg e Vivki Hulse, impiegati da dieci anni. Il motivo? La loro confessione non combaciava con il credo dell’organizzazione. Il giudice Diarmuid O’Scannlain ha sentenziato che “la World Vision è un’associazione no profit, il cui sforzo umanitario deriva da un profondo senso di missione religiosa”. Attestando, dunque, il “predominante” carattere religioso del gruppo, il giudice ha potuto trovare sponda in quell’eccezione prevista al Civil Rights Act del 1964. La legge dice che le compagnie impegnate in attività prevalentemente religiose, possono essere “sollevate” dal divieto di compiere “scelte” (anche discriminanti) sulla base della religione. La World Vision aveva, infatti, presentato un appello al giudice in cui si ribadiva che “la fede cristiana è stata alla base del nostro lavoro sin dal giorno in cui l’organizzazione e’ stata fondata nel 1950, e la politica nelle assunzioni è vitale per mantenere l’integrità della nostra missione di servire i poveri come seguaci di Gesù Cristo”.
Di parere opposto il giudice Marsha S. Berzon (che ha votato contro) che ha sottolineato come la decisione apra una pericolosa deriva, peraltro in aperto contrasto con la visone pluralista del Congresso.
L’obiezione sollevata dagli impiegati licenziati e sostenuta dal giudice, è che la fede personale non può essere vista come discriminante all’abilità personale e alla capacità di svolgere adeguatamente un compito o un lavoro non esclusivamente basato sulla religione. Il giudice Andrew J. Kleinfeld, inoltre, ha obiettato che la decisione di O’Scannlain potrà spingere le grandi associazioni non profit legate alla Chiesa (come la World Vision), a discriminare ingiustamente.
Rispetto alla sentenza, l’obiezione più diffusa riguarda il concetto stesso di “assistenza umanitaria” e se, per svolgere adeguatamente tale missione, sia indispensabile condividere il credo dell’associazione per la quale si lavora. Un po’, Come se si affermasse che i destinatari degli aiuti dell’organizzazione debbano essere di fede cristiana e non “semplicemente” poveri.
Fra le altre cose la World Vision, gruppo influente e attivo in tutto il mondo, è stata diverse volte al centro di polemiche per la natura delle proprie attività.  Andrew Geoghegan, un corrispondente della ABC, che tramite la società aveva sostenuto una bambina etiope, durante un viaggio nel paese scoprì che, a differenza di quanto affermato dall’associazione, la piccola non parlava inglese né era a conoscenza di essere parte di un programma di supporto e che tutto ciò che aveva mai ricevuto era una penna e una giacchina.
La decisione del giudice O’Scannlain arriva proprio mentre l’ amministrazione sta valutando di l’opportunità di finanziarie organizzazioni religiose che rifiutino di assumere persone di fede diverse. I casi per ora sono analizzati singolarmente, in attesa di una decisione definitiva.

Di seguito pubblichiamo la dichiarazione di World Vision Italia in risposta all’articolo pubblicato sul fattoquotidiano online il 26 agosto scorso

“Nell’articolo di Angela Vitaliano si procede con un azzardato e poco probabile nesso tra “assistenza umanitaria” e valori di cui un’organizzazione umanitaria, come World Vision, è portatrice. World Vision opera nel campo della cooperazione e sviluppo internazionali dal 1950. E dal 1950 ha sempre aiutato le popolazioni in stato di bisogno senza nessuna discriminazione di genere, razza, religione o etnia. Proprio in virtù di principi cristiani ispiratori della sua opera. Per svolgere adeguatamente la missione umanitaria alla quale i collaboratori di world vision- 40.000 in 97 Paesi del mondo- sono chiamati, sono necessari alcuni requisiti fondamentali: passione, dedizione, competenza, professionalità.

E’ pur vero che World Vision è un’organizzazione non governativa che si ispira a principi cristiani. E tali principi, pur non discriminando tra i propri lavoratori, possono portare a fare delle scelte, ma sempre in rispetto del contesto e della legalità nel Paese in cui si opera, come è successo negli Stati Uniti, dove una legge del Congresso del 1964 (Civil Rights Act) riconosce World Vision US come un’organizzazione religiosa e in quanto tale libera di scegliere il proprio personale in base a regole diverse da quelle applicate da una normale azienda.

Non parliamo di azienda, società o similari. Parliamo di associazioni, organizzazioni non governative dove i principi delle persone che operano per tali organizzazioni sono fondamentali per il raggiungimento della missione dell’organizzazione stessa. Quindi quello che è successo negli Stati Uniti non è una “discriminazione ingiusta” come si evince dall’articolo in questione, ma una scelta garantita dal legislatore statunitense. Contestiamo fermamente poi quanto riportato nello stesso articolo circa le attività di World Vision. Ci piacerebbe verificare le fonti che hanno portato la giornalista a riportare come vero quanto riferito dal corrispondente dell’ABC Andrew Geoghagan sostenitore a distanza di una bambina etiope in un progetto di World Vision. Le affermazioni rivelano una scarsa documentazione e conoscenza dei programmi di World Vision nel mondo- circa 2.000- dai quali beneficiano circa 100 milioni di persone (oltre ai bambini che sono sostenuti a distanza da donatori di 20 Paesi differenti). I bambini sostenuti a distanza non sono tenuti a parlare o scrivere in inglese. Infatti i bambini scrivono al loro sostenitore a distanza nella propria lingua e le lettere vengono tradotte nella lingua del donatore dai vari uffici di world vision che si occupano di far da tramite e facilitare questa relazione.

I bambini, poi, non ricevono doni dai nostri programmi ma scuole, case, pozzi d’acqua, istruzione, cibo, programmi di nutrizione, vaccinazioni, assistenza sanitaria, aiuti di microcredito per i loro genitori. Quindi il fatto che la bambina etiope  avesse ricevuto solo una penna e una giacchina è forse perchè il sostenitore in questione- Mr Geoghahgan- aveva inviato alla bambina come piccolo dono una penna e una giacchina…….Inoltre, World Vision ha una policy abbastanza rigida per quanto riguarda l’elargizione di doni ai bambini inseriti in un programma di sostegno a distanza. Si chiede ai donatori di non inviare doni di valore ma solo doni che i bambini possono condividere con i loro fratelli e i con i loro amici, proprio per non creare nessuna forma di discriminazione tra bambini sostenuti a distanza e quelli che, pur facendo parte della stessa comunità, non fanno parte di un programma di sostegno a distanza. Tanto era necessario precisare. Rimaniamo a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento”.

Giovanna Reda – Direttore World Vision Italia Onlus

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